Il caso del Bhutan: il Paese che si fonda sulla felicità | FOTO

Il Bhutan è l'unico Paese al mondo che invece di basare la propria economia sul Prodotto Interno Lordo, si fonda sulla "Felicità Interna Lorda"
  • Bhutan Paese della felicità
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Oggi, 20 marzo, è la Giornata mondiale della felicità che coincide con l’Equinozio di Primavera. Si dice che tre valori, interconnessi tra loro, concorrono alla felicità: la calma, la saggezza e la gentilezza. I filosofi e i pensatori hanno dato diverse spiegazioni al concetto di felicità.

Per Aristotele, il primo tra i filosofi metafisici, la felicità rappresentava la meta che tutti gli esseri umani ambiscono a raggiungere nel corso della vita. Secondo la tesi “eudamonica” del filosofo l’unico modo per raggiungere la vera felicità era tramite la virtù e la prudenza. Ogni uomo si differenziava anche a seconda del suo “daimon”, cioè la buona sorte, che condizionava il proprio cammino verso un’autentica felicità.

La felicità nella storia della filosofia

Epicuro, filosofo greco in grande contraddizione con i metafisici, non credeva che la felicità provenisse solamente dal mondo spirituale. Per questo pensatore la felicità era connesso alla dimensione terrena e al piacere. Difatti, fondò la “Scuola della felicità”, i cui adepti perseguivano, costi quel che costi, il piacere. Agli antipodi, molti secoli più tardi, Nietzsche, associava la felicità al dolore ma anche allo studio, alla ricerca e alla conoscenza e alla volontà di condividere. Per Albert Einstein la felicità era una vita calma e modesta, per il sociologo Zygmunt Bauman è riuscire a superare le difficoltà.

Qualsiasi definizione possa essere attribuita alla felicità, non è né una farfalla, né un dono dal cielo, ma uno stato d’animo che come un muscolo va sapientemente allenato. Per la scienza, si è in qualche modo predisposti alla felicità, o almeno a uno stato emotivo placido. Difatti, alcuni tratti della personalità sono scritti nel nostro corredo genetico.

Il corredo genetico della felicità

Ma questo legame della felicità ai geni della felicità è limitata solo per il 40%: il resto lo fanno le scelte personali e l’atteggiamento mentale”, ha dichiarato Chiara Ruini, docente di Psicologia clinica all’Università di Bologna, alla rivista Focus.

Ma esiste il Paese della Felicità? Si tratta del Bhutan che lo ha inteso come il fondamento della sua economia. Infatti, in questo piccolo Paese nel Sud dell’Asia, incastonato come in un dipinto nelle montagne dell’Himalaya, al posto del Pil, si amministra la cosiddetta “Felicità interna lorda“.

Il caso del Bhutan

In Bhutan, già negli anni ’70, il re Jigme Singye Wangchuck ha introdotto la Felicità Interna Lorda (FIL), cioè un indice di progresso economico e morale che invece di concentrarsi esclusivamente su misure economiche quantitative, calcola il livello di felicità dell’intero Paese, tenendo conto di un insieme di fattori legati alla qualità della vita, come la tutela dell’ecosistema, la salute degli abitanti, l’istruzione, l’intensità dei rapporti sociali.

Il re Jigme Singye Wangchuck, infatti, in un’intervista al Financial Times nel 1972, spiegò che “la felicità interna lorda è più importante del prodotto interno lordo” e che la felicità di una nazione non si misura con il solo progresso economico, ma nella crescita di una società umana armonica, in grado di vivere in sintonia con se stessa e con la natura.

Il centro GNH Centre Bhutan

Nel 1998 poi il governo del Bhutan ha istituito un centro di ricerca dedicato, il GNH Centre Bhutan (GNHCB), al fine di definire un indice della FIL, fissare indicatori che il governo possa seguire nelle sue linee di politica interna e condividere i risultati con il mondo esterno. Il Centro GNH ha quindi elaborato quelli che vengono comunemente definiti i “quattro pilastri” della Felicità Interna Lorda: il buon governo, lo sviluppo sostenibile, la conservazione e la promozione del patrimonio culturale e la tutela dell’ambiente.

Quando, nel 2008, il Bhutan ha promulgato la nuova costituzione democratica, i valori della FIL sono entrati nell’articolo 9, che assicura l’inclusione e la continuità dei suoi principi: “lo Stato si sforza di promuovere le condizioni che permettono il raggiungimento della Felicità Interna Lorda”, definita come un “approccio di sviluppo multidimensionale, che cerca di raggiungere un equilibrio armonioso tra il benessere materiale e le esigenze spirituali, emotive e culturali della società”.

Il condizionamento dalla religione buddista

Questi principi alla base della cultura buddista, in effetti, avevano già ispirato il più antico codice di leggi del Bhutan, risalente al 1629, in cui si legge che “se il governo non può creare la felicità del suo popolo, allora non c’è alcun motivo per il governo di esistere”.

I suoi 700mila abitanti praticano la religione buddista e sono fortemente gelosi delle loro tradizioni e dei loro rituali. Come forma di deterrente agli eccessi del turismo che possano contaminare il loro Paese, i governanti hanno messo una tassa di soggiorno salatissima: ben 200 euro al giorno. Inoltre, questo Stato risulta raggiungibile solo con pochi aerei.

Perché viene denominato il “Paese della felicità”

Nonostante quest’anno è stato giudicata la Finlandia, il Paese più felice al mondo, il Bhutan resterà sempre come il Paese che si fonda sulla felicità. Questa etichetta è stata attribuita al Bhutan, in seguito ad una ricerca del 2007 realizzata dagli psicologi Nathan DeWall e Roy Baumesiter dell’Università del Kentucky.

Questo studio è constato di un’analisi sperimentale condotta su due gruppi di studenti. A un gruppo è stato chiesto di immaginare una dolorosa visita dal dentista, all’altro di contemplare la propria morte. Ad entrambi i gruppi è stato poi chiesto di completare le parole chiave, come “jo_”. Il secondo gruppo, quello che aveva pensato alla morte, era molto più propenso a costruire parole positive, come “joy”, gioia.

Contemplare la morte

Questo ha portato i ricercatori a concludere che paradossalmente per i Bhutanesi la felicità è legata al concetto di contemplare l’ineluttabile morte. “la morte è un fatto psicologicamente minaccioso, ma quando le persone la contemplano, apparentemente il sistema automaticamente inizia a cercare pensieri felici”.

E gli abitanti del Bhutan hanno fatto propria questa filosofia di vita. Difatti, ritengono che contemplare l’idea che la vita stessa abbia una fine, anziché attivare un senso devastante di paura e di impotenza, porti più facilmente a sviluppare un atteggiamento positivo verso la vita e il qui e ora.

Il lutto in Bhutan

Secondo la cultura bhutanese, una persona dovrebbe pensare alla morte circa cinque volte al giorno. Bisogna sapere poi che in Bhutan la tradizione prevede 49 giorni di lutto dopo la morte. Questo rituale spiega quanto importanza diano i bhutanesi alla fine dell’esistenza. Le occasioni di morire, inoltre, in Bhutan sono molto alte e sempre dietro l’angolo, ciò spiega anche la loro abitudine a riflettere sul concetto di fine dell’esistenza.

Secondo lo studio quindi il Bhutan è il Paese più felice al mondo perché i suoi abitanti non temono la morte, ma utilizzano l’idea che la vita abbia un inizio e una fine come stimolo per rendere migliore il presente. Un concetto non lontano al “Memento mori” (letteralmente: “ricordati che devi morire“), una nota locuzione in lingua latina ripresa dalla religione cattolica.

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