Abbassare i prezzi dei farmaci per tutti i cittadini senza indebolire un’industria che vale 235 miliardi di euro l’anno solo di export. La scommessa della Commissione europea per una riforma del mercato dei farmaci comincia da questa sfida. Ma le soluzioni proposte aprono già lo scontro con le case farmaceutiche, fortemente critiche, e probabilmente anche con i Ventisette, divisi tra loro. Per ora i soli a dare generale sostegno all’iniziativa sono i consumatori. Per facilitare la disponibilità dei generici, ridurre i prezzi, e attenuare le disparità di accesso ai farmaci sul suolo europeo, l’esecutivo Ue propone di accorciare da 10 a 8 anni la durata standard dell’esclusiva cui beneficia l’industria farmaceutica, oltre alla tutela del brevetto. Un’idea che, è insorta l’Efpia, l’associazione di categoria delle industrie farmaceutiche Ue, “mina lo sviluppo e la ricerca” con ricette “impraticabili e destinate a fallire”.
E anche per Farmindustria “l’indebolimento della proprietà intellettuale ha rischi certi per investimenti e innovazione, assolutamente non compensati dal nuovo sistema di incentivi, assai complicato da attivare e dai risultati incerti per le aziende”. Di tutt’altro segno la reazione delle associazioni dei consumatori, che invece vedono nella misura la possibilità di “rendere più facile e veloce per i pazienti avere accesso a farmaci generici più economici”. Una contrapposizione alla quale ha cercato di rispondere direttamente la commissaria Ue alla Salute, Stella Kyriakides, invitando tutti a “guardare al pacchetto nel suo insieme”.
La riforma del mercato dei farmaci
Il pacchetto da un lato prevede di accorciare i tempi di esclusiva, ma dall’altro anche la possibilità di allungarli fino a 12 o 13 anni se l’azienda dà risposte a bisogni medici insoddisfatti, come la ricerca sugli antibiotici o le malattie rare. Oppure se lancia un suo nuovo prodotto in tutti i Paesi dell’Ue. E per incentivare la ricerca su nuovi antibiotici contro i batteri resistenti, Bruxelles ha accolto un’idea dell’industria: le case che si impegnano a produrne possono ottenere un ‘buono’ per prolungare il periodo di protezione su uno qualsiasi dei loro prodotti. Il voucher sarà trasferibile ad altri, “ma solo una volta”, ha precisato Kyriakides.
In questo caso è soddisfatta l’Efpia, che la definisce una misura “a prova di futuro per stimolare la ricerca su nuovi trattamenti contro la resistenza antimicrobica”. Ed è invece critico il Beuc, per cui “esistono modi più equi per sviluppare nuovi antibiotici”. La stella polare della strategia Ue è creare un vero mercato unico del farmaco, come durante la pandemia, quando i Ventisette ebbero accesso tutti nello stesso momento a un vaccino molto innovativo. Caso eccezionale, perché la norma è un divario di oltre 10 volte nella disponibilità dei prodotti tra Paesi come la Germania e l’Italia da un lato, e quelli come la Lituania e Lettonia dall’altro.
Monitorare le carenze
Per centrare l’obiettivo l’esecutivo comunitario prevede anche di compilare entro fine anno una lista dei medicinali critici da monitorare per evitare le carenze. Gli interventi riguardano anche le procedure di autorizzazione all’immissione sul mercato. Dovranno tenere conto anche dell’impatto ambientale dei medicinali, ma i tempi saranno più che dimezzati, con la digitalizzazione e la riorganizzazione dell’intero sistema, dalla domanda del produttore fino al “bugiardino elettronico” per il consumatore. L’obiettivo è avere l’ok per nuovi farmaci in 180 giorni invece che negli attuali 400.
La parola passa ora, a un anno scarso dalle elezioni, all’Europarlamento e ai governi, che già nei mesi scorsi si sono posizionati facendo presagire uno scontro a più livelli. La revisione della legislazione farmaceutica europea presentata oggi dalla Commissione UE, se approvata, avrà conseguenze pesantissime sulla competitività e sull’attrattività dell’industria farmaceutica in Europa e in Italia, quindi sugli investimenti e sull’occupazione, sostiene però Farmindustria secondo la quale gli effetti potranno tradursi anche in un minore accesso alle cure e all’innovazione per i cittadini.
Per le aziende l’indebolimento della proprietà intellettuale con la riduzione della data protection ha rischi certi per investimenti e innovazione, “assolutamente non compensati dal nuovo sistema di incentivi, assai complicato da attivare e dai risultati incerti per le aziende”.