I “tipping point“, nel contesto ambientale e climatico, sono momenti critici in cui un sistema complesso, come un ecosistema o il clima globale, passa da uno stato stabile a uno stato radicalmente diverso, spesso irreversibile. Sono innescati da cambiamenti relativamente ridotti ma possono portare a conseguenze significative e persistenti. Ad esempio, il collasso del ghiaccio marino dell’Artico o la perdita di biodiversità possono essere considerati tipping point. Questi eventi possono avere conseguenze profonde sulla vita sulla Terra e sulle nostre società. Comprendere i tipping point è essenziale per sviluppare strategie di mitigazione e adattamento per affrontare le sfide dei cambiamenti globali. Identificarli e comprendere le dinamiche coinvolte consente di intervenire tempestivamente per evitare o ridurre gli effetti negativi e preservare l’equilibrio degli ecosistemi e del clima.
Tipping point, cosa sono in dettaglio: lo studio pubblicato su Nature
Un importante studio che ha identificato 5 tipping point per la Terra è stato pubblicato nel 2019 su Nature. L’articolo si intitola “Trajectories of the Earth System in the Anthropocene” ed è stato condotto da un gruppo di ricercatori guidati dal professor Will Steffen dell’Università nazionale australiana. Nello studio, i ricercatori hanno identificato 5 potenziali tipping point globali che potrebbero portare a cambiamenti irreversibili e significativi nell’ambiente della Terra. Questi sono:
- Il collasso delle barriere coralline;
- La perdita di grandi ecosistemi forestali, come l’Amazzonia;
- Il cambiamento nella circolazione termoalina dell’Oceano Atlantico, che potrebbe influenzare la distribuzione del calore globale;
- Il crollo dei ghiacciai dell’Antartide occidentale;
- L’emissione di grandi quantità di gas a effetto serra dai depositi di permafrost.
Questo studio sottolinea l’importanza di monitorare attentamente questi tipping point e di adottare azioni concrete per mitigare i cambiamenti climatici e proteggere gli ecosistemi vitali per la sopravvivenza del nostro pianeta.
Il collasso delle barriere coralline
Il collasso delle barriere coralline si riferisce a un grave deterioramento e perdita di salute degli ecosistemi corallini, che possono essere causati da una combinazione di fattori come l’aumento della temperatura dell’acqua, l’acidificazione degli oceani, l’inquinamento e l’eccessivo sfruttamento delle risorse marine. Le barriere coralline sono complesse strutture formate dai coralli, organismi marini che vivono in simbiosi con alghe fotosintetiche chiamate zooxanthellae. Quando le condizioni ambientali diventano sfavorevoli, come a causa del riscaldamento degli oceani, i coralli possono espellere le zooxanthellae, perdendo il loro principale nutrimento e sbiadendo, un fenomeno noto come “sbiancamento corallino”. Se il processo continua per un periodo prolungato, i coralli possono morire, portando al collasso dell’intero ecosistema corallino. Questo ha gravi conseguenze per la biodiversità marina, la protezione costiera e per le comunità che dipendono dai coralli per il sostentamento e l’economia locale.
La perdita di grandi ecosistemi forestali
La perdita di grandi ecosistemi forestali, come l’Amazzonia, si riferisce alla deforestazione e alla degradazione delle foreste pluviali tropicali, che rappresentano un ecosistema vitale per la biodiversità globale e il ciclo del carbonio. L’Amazzonia è una delle foreste pluviali più estese e importanti al mondo. La deforestazione è principalmente causata dall’espansione dell’agricoltura su larga scala, dall’estrazione mineraria, dalla costruzione di infrastrutture e dal taglio illegale di legname. Questo processo ha gravi conseguenze, tra cui la perdita di habitat per migliaia di specie vegetali e animali, l’aumento delle emissioni di carbonio nell’atmosfera, l’alterazione dei modelli di precipitazione e l’impoverimento delle comunità indigene che dipendono dalla foresta per la loro sussistenza. La perdita di grandi ecosistemi forestali come l’Amazzonia può portare a un grave squilibrio ambientale e contribuire al cambiamento climatico globale.
Il cambiamento nella circolazione termoalina
Il cambiamento nella circolazione termoalina dell’Oceano Atlantico si riferisce ad un possibile fenomeno in cui le correnti oceaniche che trasportano calore si modificano, influenzando la distribuzione globale del calore. La circolazione termoalina è alimentata da differenze di temperatura (termo) e salinità (alina) dell’acqua oceanica. Nell’Oceano Atlantico, la circolazione termoalina si basa sulla formazione di acque profonde e dense nell’Atlantico settentrionale, che poi si spostano verso Sud, attraversano l’Atlantico equatoriale e ritornano in superficie nei tropici.
Se si verificasse un cambiamento significativo nella circolazione termoalina, potrebbe comportare una riduzione del trasporto di calore verso il Nord, influenzando la distribuzione del calore globale. Ciò potrebbe avere effetti sul clima regionale, come la modifica dei regimi di pioggia e temperatura nelle aree costiere. Inoltre, potrebbe influire sulla regolazione climatica a livello globale, poiché la circolazione termoalina svolge un ruolo chiave nel trasporto di calore e nell’equilibrio termico del pianeta.
Sebbene la connessione tra il cambiamento climatico antropogenico e la circolazione termoalina dell’Oceano Atlantico non sia ancora del tutto chiara, alcuni studi indicano che potrebbe esserci una sensibilità del sistema a perturbazioni climatiche, con potenziali implicazioni per il clima globale.
I ghiacciai in Antartide
Il crollo dei ghiacciai dell’Antartide occidentale tra i tipping point si riferisce al fenomeno di rapido e irreversibile scioglimento dei ghiacciai presenti nella regione occidentale dell’Antartide, che è considerata una delle masse di ghiaccio più grandi e instabili del pianeta. Gli scienziati hanno osservato un accelerato ritiro dei ghiacciai e la fratturazione delle piattaforme di ghiaccio in questa regione.
Il fenomeno è alimentato da diversi meccanismi, tra cui il riscaldamento dell’acqua oceanica che erode la base dei ghiacciai e la destabilizzazione delle piattaforme di ghiaccio che bloccano il flusso dei ghiacciai verso l’oceano. Questo processo può portare a un aumento del flusso di ghiaccio verso il mare e contribuire all’innalzamento del livello del mare.
Il crollo dei ghiacciai dell’Antartide occidentale rappresenta una seria preoccupazione per gli scienziati e i climatologi, poiché potrebbe avere conseguenze significative sull’aumento del livello del mare, minacciando le comunità costiere e l’ecosistema marino. La comprensione di questo processo e il monitoraggio continuo sono fondamentali per valutare le conseguenze future e sviluppare strategie di adattamento e mitigazione.
L’emissione di gas a effetto serra dai depositi di permafrost
L’emissione di gas a effetto serra dai depositi di permafrost si riferisce al rilascio di considerevoli quantità di gas serra nell’atmosfera da parte dei terreni congelati permanentemente noti come permafrost. Il permafrost si forma quando il terreno rimane congelato per almeno due anni consecutivi, principalmente nelle regioni polari e subpolari del nostro pianeta.
A causa dei cambiamenti climatici, il riscaldamento delle temperature atmosferiche sta causando la fusione e il degrado del permafrost. Questo processo può attivare la decomposizione microbica della materia organica precedentemente congelata nel terreno. Durante la decomposizione, i microrganismi producono gas serra come il metano (CH4) e il biossido di carbonio (CO2), che si accumulano nell’atmosfera.
Il metano viene considerato particolarmente preoccupante perché ha un potenziale di riscaldamento globale molto maggiore rispetto alla CO2 nel breve termine, anche se si decompone più rapidamente nell’atmosfera. Le stime suggeriscono che i depositi di permafrost contengano enormi quantità di carbonio organico, che se rilasciato sotto forma di gas a effetto serra potrebbe avere un impatto significativo sull’equilibrio climatico.
L’emissione di gas a effetto serra dal permafrost potrebbe innescare un ciclo di feedback positivo. Il riscaldamento globale causa la fusione del permafrost, che a sua volta aumenta le emissioni di gas serra. Questo ulteriore rilascio di gas serra contribuisce al riscaldamento globale, creando un ciclo che accelera il degrado del permafrost e l’emissione di ulteriori gas serra.
La preoccupazione principale è che l’emissione di gas a effetto serra dai depositi di permafrost potrebbe amplificare il cambiamento climatico e portare a conseguenze più gravi. Gli scienziati stanno cercando di comprendere meglio l’entità di queste emissioni e il loro potenziale impatto sul sistema climatico. La mitigazione di tali emissioni richiede una riduzione delle emissioni di gas serra a livello globale e una gestione sostenibile dei terreni che limiti la fusione del permafrost.