Uno studio pubblicato su Nature ha rilevato che il farmaco antivirale molnupiravir, utilizzato per trattare casi gravi del Covid, potrebbe contribuire allo sviluppo di mutazioni genetiche del virus SARS-CoV-2. Tuttavia, non è ancora chiaro se queste mutazioni possano portare all’emergere di ceppi resistenti al farmaco. Lo studio è stato condotto da ricercatori provenienti da diverse istituzioni, tra cui l’Università di Cambridge, l’Imperial College, l’Università di Liverpool e l’Università di Città del Capo.
Molnupiravir funziona inducendo mutazioni nel genoma del virus durante l’infezione, molte delle quali danneggiano o eliminano il virus, riducendo così il carico virale nel corpo. Gli scienziati hanno analizzato le sequenze genetiche di milioni di campioni di SARS-CoV-2 da tutto il mondo e hanno scoperto che le mutazioni associate all’uso di molnupiravir sono aumentate nel 2022, quando il farmaco è stato introdotto. Queste mutazioni erano più comuni nei Paesi che facevano un ampio uso del molnupiravir. In Inghilterra è stato rilevato che circa il 30% degli eventi mutazionali coinvolgeva l’uso di molnupiravir, e queste mutazioni corrispondevano a quelle osservate nei trial clinici del farmaco. Tuttavia, è difficile valutare l’impatto di queste mutazioni sulle nuove varianti del virus e sulla salute pubblica. Inoltre, le infezioni croniche trattate con molnupiravir possono anch’esse contribuire alla comparsa di nuove mutazioni.
In conclusione, lo studio evidenzia la possibilità che il trattamento con molnupiravir possa promuovere mutazioni del virus SARS-CoV-2, ma sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere appieno l’impatto di tali mutazioni e valutare i rischi e i benefici del farmaco. Inoltre, suggerisce che le future terapie antivirali dovrebbero considerare la possibilità di mutazioni indotte dai farmaci.