Nell’Universo primordiale mancano i buchi neri, i computer li scovano nei dati

Sviluppata una tecnica di machine learning che riconosce le galassie superluminali nel primo Universo.
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Le galassie popolano le immagini dell’Universo. Quali processi hanno determinato le loro forme, colori e popolazioni di stelle? Gli astronomi pensano che i buchi neri primordiali siano stati i motori della crescita e della trasformazione delle galassie e possano spiegare il panorama cosmico che vediamo oggi. In un articolo pubblicato oggi su Astronomy & Astrophysics, un team internazionale guidato da Rodrigo Carvajal dell’Istituto di Astrofisica e Scienze dello Spazio (IA2) e dalla Facoltà di Scienze dell’Università di Lisbona (Ciências ULisboa) presenta una tecnica di machine learning che riconosce le galassie superluminali nell’Universo primordiale. Si ritiene che queste galassie siano dominate dall’attività di un vorace buco nero nel loro nucleo. Secondo gli autori, quello messo a punto dovrebbe essere il primo algoritmo in grado di prevedere quando questa attività emette anche un segnale intenso nelle frequenze radio. Le emissioni radio sono spesso distinte dalla luce delle altre galassie e talvolta è difficile collegarle. Questa tecnica di intelligenza artificiale consentirà agli astronomi di essere più efficaci nella ricerca delle cosiddette galassie radio. L’algoritmo, sviluppato in collaborazione con l’azienda Closer, operante nel settore delle soluzioni tecnologiche per la scienza dei dati, è stato addestrato con immagini di galassie ottenute in diverse lunghezze d’onda dello spettro elettromagnetico. Quando testato con altre immagini, è stato in grado di prevedere 4 volte più galassie radio rispetto ai metodi convenzionali che utilizzano istruzioni esplicite.

Man mano che l’apprendimento automatico sviluppa i suoi algoritmi, cercare di capirne il successo potrebbe aiutare a chiarire i fenomeni fisici che stavano accadendo in queste galassie 1,5 miliardi di anni dopo il Big Bang, ovvero quando l’Universo aveva un decimo della sua età attuale. “Dobbiamo trovare più galassie attive nel cielo, perché ci sono previsioni secondo cui ne dovrebbero esistere molte di più nella storia primordiale dell’Universo. Con le osservazioni attuali non abbiamo quel numero,” afferma Rodrigo Carvajal. Secondo il ricercatore, sono necessarie ulteriori osservazioni per verificare se la comprensione attuale di come evolvono le galassie attive sia corretta o debba essere modificata. “È importante analizzare anche i modelli di apprendimento automatico stessi e capire cosa sta accadendo al loro interno,” aggiunge Carvajal. “Quali caratteristiche sono più rilevanti per la decisione? Ad esempio, vogliamo sapere se la caratteristica più importante per il modulo che ha dichiarato che si tratta di una galassia attiva è la luce che la galassia emette nell’infrarosso, possibilmente un’indicazione di una rapida formazione di nuove stelle. Con questo, siamo in grado di produrre una nuova legge per separare ciò che è una galassia normale da una galassia attiva“.

Il peso relativo delle caratteristiche della galassia nella decisione presa dal computer potrebbe indicare l’origine della sua intensa attività, in particolare nella banda radio. In uno studio in preparazione, Carvajal sta esplorando le implicazioni di questa apparente dipendenza tra l’emissione radio e la formazione delle stelle.

Israel Matute, di IA e Ciências ULisboa, secondo autore dell’articolo, chiarisce: “Questi modelli sono strumenti matematici che ci aiutano a guardare nella giusta direzione quando la complessità dei dati aumenta. Questo lavoro potrebbe fornire approfondimenti sui processi che hanno frenato la formazione di nuove stelle nella seconda metà della storia dell’Universo“.

Le galassie che sembrano mancare nell’Universo primordiale potrebbero trovarsi nella grande mole di dati che i moderni radiotelescopi produrranno nei prossimi anni. Indagini future su vaste regioni del cielo riveleranno miliardi di galassie. Un esempio è la Mappa Evolutiva dell’Universo (EMU), che mapperà l’intero emisfero celeste meridionale con il radiotelescopio ASKAP in Australia. Il team guidato da IA sta già lavorando con i dati di un progetto pilota di questo studio. Una volta perfezionate, queste strumentazioni saranno cruciali per l’elaborazione della quantità astronomica di dati che il futuro Osservatorio Square Kilometre Array (SKAO) produrrà. Il Portogallo fa parte del consorzio di questo osservatorio, attualmente in costruzione. “In una nuova era in cui l’astronomia avrà accesso a quantità enormi di dati, è sempre più importante lo sviluppo di tecniche avanzate per il loro trattamento e analisi,” afferma José Afonso di IA e Ciências ULisboa e co-autore di questo articolo. “A IA stiamo sviluppando e implementando queste tecniche, per essere in grado di decifrare l’origine delle galassie e dei buchi neri supermassicci che la maggior parte di esse ospita“. L’idea della collaborazione tra l’azienda Closer e IA è stata avanzata da uno dei co-autori, Helena Cruz, dottoressa in Fisica e scienziata dei dati presso Closer. Il suo coinvolgimento è stato fondamentale per analizzare e processare l’impatto delle incertezze e delle incongruenze tra diverse fonti di dati, provenienti da vari telescopi e programmi di osservazione, utilizzate per addestrare l’algoritmo di apprendimento automatico. “Mi sono resa conto che l’Astronomia è un campo con grandi opportunità per l’esplorazione e lo sviluppo di modelli di apprendimento automatico, e ha avuto senso per me applicare le mie competenze professionali a questo campo,” ha affermato Cruz.

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