di Daniele Mazza, Former Professor, Politecnico di Torino – L’indice ENSO (El-Niño Southern Oscillation) viene spesso citato in climatologia e meteorologia come uno dei principali indicatori climatici, e additato come foriero di eventi meteo estremi. In realtà esso è un ciclo oceanico naturale che provoca drastiche fluttuazioni di temperatura e altri effetti climatici nelle regioni tropicali del Pacifico, che poi si propagano all’intero pianeta.
In realtà non molti sono a conoscenza del suo reale significato e ancor meno persone (solo gli addetti ai lavori..) sanno come viene calcolato dall’ente preposto a ciò, il NOAA americano (National Oceanic and Atmospheric Administration https://www.noaa.gov/).
Premetto che il NOAA (istituito nel 1970 dall’allora Presidente USA Richard Nixon) svolge un eccellente lavoro di raccolta e presentazione di dati, fornendo però una limitata spiegazione sulle relative elaborazioni numeriche.
Viene ad esempio chiaramente detto che l’indice ENSO [1],[2] è dedotto da misurazioni mensili di temperatura superficiale marina (SST, Sea Surface Temperature) sulla zonale di oceano pacifico nota come El-Nino 3.4 (Latitudine da 5° nord a 5° sud e Longitudine da 120 a 170° est), come indicato in figura 1.
Già in due mie precedenti memorie pubblicate da MeteoWeb venivano esposte alcune considerazioni sulla sequenza temporale di questo indice. Vedasi nel maggio 2023 “El Niño, da terrificante a mansueto: l’allarmismo smentito dalla scala dei tempi” e nel luglio dello stesso anno, due mesi più tardi, “Riscaldamento globale: i gradini che i fanatici della CO₂ dovrebbero conoscere” a nome F. Marino e D. Mazza.
Qui di seguito è dedotto ed esposto un (relativamente) semplice algoritmo che viene usato dal NOAA per ottenere questo indice dalle misure di SST nella zonale appunto 3.4, e del quale non compare traccia nelle varie note esplicative dello stesso Ente. Visto il ritardo di circa 1-2 mesi per i necessari calcoli da parte di NOAA, l’algoritmo può essere utilizzato anche per calcolare un indice ENSO provvisorio da SST (3.4) quando questo non è ancora disponibile. Ma facciamo un passo indietro e partiamo dalle temperature globali.
L’effetto sulla temperatura atmosferica globale della fase calda di ENSO, noto come El Niño, è illustrato nella figura seguente, che riporta i dati di temperatura della bassa troposfera aggiornati ad oggi (fonte UAH) [3]. Gli asterischi evidenziano picchi di temperatura media globale ai quali corrispondono fenomeni El Niño più intensi, tra cui l’ultimo di ottobre 2023 non ancora concluso.
I picchi più freddi come quelli del 1999-2001 e del 2008-2009 sono dovuti alla fase più fresca della Niña (non evidenziata in figura).
Sulla base dei modelli storici e delle attuali previsioni a lungo termine, si prevede che El Niño diminuirà gradualmente durante la prossima primavera boreale, come afferma l’aggiornamento su El Niño/La Niña della WMO, che combina previsioni e indicazioni di esperti da tutto il mondo.
Da ottobre siamo quindi sotto l’effetto di una fase di El Niño eccezionalmente forte, con un picco prevedibile tra dicembre e gennaio, ma quanto durerà e soprattutto sarà il picco più intenso fin qui osservato ?. Andiamo per gradi, iniziando ad esaminare le SST disponibili da NOAA [4] dal 1950, come in fig.3
Come si nota l’andamento è in leggera salita, ma inferiore di circa la metà a quello globale, riportato essere tra 0,012 e 0,014 °C/anno. Inoltre è da citare che negli ultimi dieci anni il trend è praticamente piatto. (Le interpolazioni lineari sono eseguite con metodiche di affinamento statistico ai minimi quadrati).
Dalla serie di temperature di cui sopra NOAA quindi ricava le anomalie mensili [2] correggendole per sottrazione di quello che viene definito “contributo climatico”. Questo contributo è in realtà semplicemente una funzione periodica, che la relativa analisi di Fourier ha permesso di decomporre in una serie di due sinusoidi. Si sono considerati tutti i dati disponibili , quindi dal 1950 ad oggi. Il risultato è in fig.4. dove per semplicità essi sono presentati dal 2000 fino ad oggi. I dati osservati sono interpolati perfettamente dalla sinusoide esplicitata in fig.4, mentre i residui (in verde) sono dovuti al rumore di fondo di arrotondamento dei decimali.
Le due componenti sinusoidali hanno una periodicità annuale (2πx) e semestrale (4πx) dove x è l’ascissa espressa in anni e gli angoli sono in radianti. La periodicità annuale è prevalente (amplificata di 0,638) su quella semestrale (0,262). Detraendo il “contributo climatico” dalle temperature SST si ottengono quindi le anomalie che vanno sottoposte ancora a un trattamento di media mobile su tre mesi. I valori di ENSO sono infatti relativi alla media di tre mesi, ad esempio quello di novembre è la media aritmetica dei valori di ottobre, novembre e dicembre.
Da segnalare che attualmente (gennaio 2024) ci troviamo nel minimo della curva sinusoidale, quindi la detrazione è minima (e l’indice ENSO è quindi sicuramente accentuato).
Oltre a ciò NOAA si è preoccupata di escludere dall’indice ENSO le pur piccole derive dovute al riscaldamento globale, scegliendo ogni 10-15 anni un diverso periodo di riferimento (base period). Quello attuale è 1991-2020. Questi due effetti si evidenziano bene in fig.5.
Le medie scorrevoli su tre mesi delle anomalie (magenta) coincidono perfettamente con l’indice ENSO (verde) solo dal 2004 in avanti, poiché nei periodi precedenti furono adottati dei riferimenti diversi.
Concludendo la formula sinusoidale in fig.4 è valida solo dal 2004 in avanti, finché NOAA non cambierà il ‘base period’. Il chè non è un problema , infatti l’interesse è di prevedere seppur di poco il nostro indice, più che di confermare i dati del passato.
A tale scopo allego la fig.6 dove i dati più recenti di SST nella zonale 3.4 su base settimanale [5] sono usati per calcolare l’indice ENSO in anticipo (blu) su quello ufficiale (rosso) mediante la formula proposta.
L’indice calcolato su base settimanale (blu) e ovviamente più rumoroso di quello ufficiale (rosso) che è mensile e inoltre mediato con media mobile su tre valori contigui. Come si nota, l’andamento della curva blu lascia prevedere un andamento calante dell’attuale picco (dic. 2023). Lo stesso picco sarà verosimilmente inferiore al precedente, centrato a dicembre 2016, di circa 0,5°C , il che non è poco.
Forse questo contribuirà a ridimensionare tanti allarmismi di questi ultimi mesi e a rassicurarci su una seconda metà dell’anno corrente più mite.
Riferimenti
[1] https://origin.cpc.ncep.noaa.gov/products/analysis_monitoring/ensostuff/ONI_v5.php
[2] https://www.cpc.ncep.noaa.gov/data/indices/oni.ascii.txt
[3] http://vortex.nsstc.uah.edu/data/msu/v6.0/tlt/uahncdc_lt_6.0.txt
[4] https://www.cpc.ncep.noaa.gov/data/indices/ersst5.nino.mth.91-20.ascii
[5] https://www.cpc.ncep.noaa.gov/data/indices/wksst9120.for