Demenza: 4 proteine nel sangue svelano chi si ammalerà

li scienziati hanno sviluppato un modello predittivo per il rischio di demenza nel corso di 10 anni
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Quattro proteine nel sangue sono state individuate come possibili predittori del rischio di sviluppare diversi tipi di demenza, inclusa la malattia di Alzheimer e la demenza vascolare, con una notevole anticipazione rispetto all’attuale prassi diagnostica, fino a oltre 10 anni prima dell’insorgenza dei sintomi. Questo il risultato di uno studio condotto da esperti cinesi dell’Università Futan di Shanghai e pubblicato sulla rivista Nature Aging. Mentre studi precedenti si erano concentrati su un numero limitato di proteine e di individui per valutare il ruolo delle proteine plasmatiche come biomarcatori nel predire il rischio di demenza a lungo termine in adulti sani, questo nuovo lavoro ha un ampio respiro, sfruttando i dati provenienti dalla Biobanca del Regno Unito.

Il gruppo di ricerca, guidato da Jin-Tai Yu e Jian-Feng Feng, ha analizzato i dati delle proteine plasmatiche di un vasto campione di 52.645 partecipanti inizialmente sani. Nel corso di un periodo di monitoraggio medio di 14,1 anni, 1.417 partecipanti hanno ricevuto una diagnosi di demenza, di cui 833 entro 10 anni (di cui 219 entro 5 anni) e 584 oltre 10 anni dall’inizio dello studio.

Tra le 1.463 proteine plasmatiche esaminate, Gfap, Nefl, Gdf15 e Ltbp2 sono emerse come costantemente associate all’insorgenza dei diversi tipi di demenza. Sulla base di questi risultati, gli scienziati hanno sviluppato un modello predittivo per il rischio di demenza nel corso di 10 anni, evidenziando il valore predittivo particolarmente alto di proteine come Gfap, già note per la loro associazione con la demenza.

Un dato rilevante emerso dallo studio è che i livelli di Gfap nel sangue iniziano a mostrare cambiamenti circa 10 anni prima della diagnosi di demenza, suggerendo la possibilità che questa proteina possa essere un potenziale biomarcatore per la valutazione precoce del rischio di sviluppare la malattia.

Tuttavia, gli autori sottolineano l’importanza di confermare tali risultati su un campione indipendente di individui per garantire la solidità delle scoperte.

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