Il Veneto segnala primo caso in Europa di febbre Oropouche

"La febbre Oropouche è una delle arbovirosi più diffuse del Sudamerica, con oltre 500mila casi diagnosticati dal 1955 a oggi"
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Identificato in Veneto il primo caso europeo di febbre Oropouche, causata da un virus diffuso normalmente nella regione amazzonica. A diagnosticarla il Dipartimento di malattie infettive tropicali e Microbiologia dell’Irccs Sacro Cuore Don Calabria di Negrar. La paziente ha una storia recente di viaggi nella regione tropicale caraibica. Il caso è stato già segnalato alle autorità sanitarie e all’Asl di competenza della Regione Veneto, nonché ai servizi di informazione e monitoraggio internazionali. Il virus è stato isolato nel laboratorio ad alto livello di biosicurezza Bsl3 del Dipartimento, primo passo per poter sviluppare test diagnostici specifici e studi sulla capacità di veicolare il virus da parte dei potenziali vettori – zanzare e moscerini – diffusi anche da noi.

La febbre Oropouche è causata dall’omonimo virus (Orov), scoperto nel 1955 nel sangue di un lavoratore forestale di Trinidad e Tobago – spiega Federico Giovanni Gobbi, direttore del Dipartimento di malattie infettive, tropicali e Microbiologia dell’Irccs di Negrar – Ciò che è più rilevante è che si tratta di un virus che viene trasmesso all’uomo dalle punture di insetti, in particolare moscerini e zanzare. La febbre Oropouche è una delle arbovirosi più diffuse del Sudamerica, con oltre 500mila casi diagnosticati dal 1955 a oggi, un numero probabilmente sottostimato viste le limitate risorse diagnostiche disponibili nell’area di diffusione. Dall’ultimo aggiornamento epidemiologico risultano tra la fine del 2024 ed il 2024 più di 5.000 casi di febbre Oropouche in Bolivia, Brasile, Colombia e Perù, ed ultimamente anche a Cuba“.

La diagnosi di febbre Oropouche effettuata dall’Irccs Sacro Cuore Don Calabria – prosegue Gobbi – conferma l’importanza di disporre di presidi specializzati, in grado di monitorare costantemente l’andamento delle arbovirosi e di altre patologie trasmissibili. La duplice specializzazione del nostro Irccs in malattie infettive e tropicali, e il fatto che da oltre trent’anni sia presente presso il nostro ospedale un servizio di medicina dei viaggiatori, ci mettono nelle condizioni di poter individuare con tempestività l’emergenza di potenziali rischi di salute pubblica, che in questo modo possono essere gestiti sul nascere grazie alla consolidata collaborazione con le autorità sanitarie della provincia di Verona e della Regione Veneto“.

Oropouche, i sintomi della febbre tropicale

I sintomi della febbre Oropouche sono quelli tipici che caratterizzano altre febbri virali tropicali: a spiegarlo sono gli esperti dell’Irccs Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, che hanno identificato il caso.

Si manifestano di solito dopo 3-8 giorni dalla puntura dell’insetto vettore – spiega Concetta Castilletti, responsabile dell’Unità di Virologia e Patogeni emergenti dell’Irccs – e sono in gran parte sovrapponibili a quelli di altre febbri virali tropicali come Dengue, Zika o Chikungunya: febbre alta (oltre i 39°C) accompagnata da mal di testa, dolore retrorbitale, malessere generale, mialgia, artralgia, nausea, vomito e fotofobia“. “Sono stati inoltre registrati sporadici casi di interessamento del sistema nervoso centrale, come meningite ed encefalite. Nel 60% circa dei casi dopo la prima fase acuta i sintomi si ripresentano, in forma meno grave: di solito da due a dieci giorni, ma anche dopo un mese dalla prima comparsa“.

“Nuovi rischi con cui imparare a convivere”

Le arbovirosi come la febbre Oropouche, o come dengue, Zika, Chikungunya costituiscono una delle emergenze di salute pubblica con le quali dobbiamo abituarci a convivere. I cambiamenti climatici e l’aumento degli spostamenti delle popolazioni umane rischiano di rendere endemici anche alle nostre latitudini virus un tempo confinati nella fascia tropicale“: a sottolinearlo sono gli esperti dell’Irccs Sacro Cuore Don Calabria di Negrar.

È fondamentale essere sempre preparati a rispondere all’emergenza di patogeni che non sono abitualmente diffusi nella fascia mediterranea – concludono gli esperti – e sotto questo aspetto l’essere riusciti ad isolare il virus Orov ci fornisce un’arma in più per affinare la diagnostica e la ricerca. La diagnosi tempestiva e la sorveglianza costante, unite a interventi di salute pubblica come le disinfestazioni, rimangono lo strumento principale per contenere questi rischi“.

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