Scoperta sensazionale nel Tirreno: centinaia di anfore romane recuperate dai robot subacquei

Tutti i reperti sono stati temporaneamente depositati per ulteriori studi
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Un’importante scoperta archeologica è stata recentemente effettuata nel Mar Tirreno, a testimonianza del valore dei progressi tecnologici nell’esplorazione subacquea. Tra la fine di luglio e l’inizio di agosto, il Dipartimento di Studi Umanistici (DSU) dell’Università Ca’ Foscari di Venezia ha condotto una campagna di indagini sui relitti romani affondati negli alti fondali del Tirreno. Questa ricerca, autorizzata dal ministero della Cultura, ha visto la collaborazione tra la Fondazione Azionemare e il DSU, portando alla luce numerosi reperti storici.

Le anfore romane rinvenute nel Tirreno

Utilizzando i sofisticati Rov abissali Multi Pluto e Pluto Palla, veicoli filoguidati dotati di telecamere e bracci robotizzati per il recupero, i ricercatori hanno esplorato il relitto Dae 27, situato a oltre 600 metri di profondità tra le isole dell’Elba e Pianosa. I robot hanno recuperato diversi campioni tra cui una tegola, un coppo, un’anfora Dressel 1 e una brocca monoansata, che saranno studiati da Gloria Olcese, professoressa dell’Università Statale di Milano, e dalla dottoranda Caterina Tomizza. Questi reperti hanno permesso di datare il naufragio tra il II e il I secolo a.C.

Inoltre, sono state avviate nuove indagini su altri due relitti: Dae 7 e Dae 39, situati tra l’isola della Gorgona e Capo Corso. Il relitto Dae 7, sebbene notevolmente deteriorato e con molte anfore frammentate a causa della pesca a strascico, ha rivelato un carico di centinaia di anfore greco-italiche databili al IV e III secolo a.C. Dal sito è stata recuperata un’anfora.

Il relitto Dae 39, situato a quasi 600 metri di profondità, si è conservato meglio e presenta un carico di centinaia di anfore Dressel 1B, databili al I secolo a.C. Anche in questo caso è stato recuperato un esemplare di anfora e una brocca monoansata. Tutti i reperti sono stati temporaneamente depositati per ulteriori studi. Per il rilievo dei relitti è stata utilizzata la tecnica fotogrammetrica, che ha permesso di ottenere un modello tridimensionale dettagliato dei carichi, utile per lo studio delle imbarcazioni e dei loro volumi.

Questa collaborazione tra istituzioni accademiche e fondazioni specializzate ha dimostrato l’importanza di unire le forze nella ricerca e nella tutela del patrimonio archeologico sommerso. Le tecnologie avanzate, infatti, non solo permettono di esplorare e recuperare beni storici in condizioni difficili, ma anche di monitorare e proteggere un patrimonio inaccessibile senza l’ausilio di tali strumenti.

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