L’umanità ha lasciato il segno, non solo nella storia, ma anche nella geologia del pianeta. Il concetto di Antropocene – l’era in cui l’uomo è diventato una forza capace di alterare profondamente i cicli e i processi naturali – continua a suscitare interesse tra scienziati e studiosi, nonostante la sua bocciatura come era geologica formale. Le prime tracce tangibili e geologiche che segnano l’inizio di questa nuova era, come rilevato da un recente studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas), risalgono al 1952, un anno che ha visto il culmine di un’accelerazione globale nell’impatto umano sul pianeta.
Microplastiche e plutonio: l’eredità delle esplosioni nucleari
Guidato dalla giapponese Ehime University, il team di ricerca internazionale, coordinato da Michinobu Kuwae, ha scoperto che intorno al 1952 è possibile osservare una significativa accelerazione dei cambiamenti geologici legati all’attività umana. “Queste ‘impronte’ geologiche,” affermano gli studiosi, “comprendono la comparsa di inquinanti, microplastiche e sostanze come il plutonio derivanti dalle esplosioni nucleari”. Le tracce non si limitano solo all’Europa, all’America e all’Asia, ma sono state rilevate anche in zone remote come l’Artico e l’Antartide, dimostrando quanto l’impatto umano sia stato pervasivo e simultaneo su scala globale.
L’utilizzo delle esplosioni nucleari come marcatori geologici rappresenta uno dei fattori più distintivi che separano l’Antropocene dalle epoche precedenti. Le esplosioni nucleari del XX secolo hanno disseminato nell’atmosfera sostanze radioattive che sono state depositate in tutto il mondo. Queste particelle, tra cui il plutonio, sono rimaste nei sedimenti dei laghi, dei fiumi e persino negli oceani, creando strati che raccontano una storia indelebile e inquietante dell’interazione umana con la Terra.
Il dibattito sul riconoscimento formale dell’Antropocene
Nonostante la crescente consapevolezza dei profondi cambiamenti apportati dall’uomo all’ambiente terrestre, l’Unione Internazionale delle Scienze Geologiche (IUGS) ha respinto, nel marzo del 2024, la proposta di riconoscere l’Antropocene come un’era geologica ufficiale. Tuttavia, il termine è ormai radicato nel linguaggio comune e accademico per descrivere la nostra epoca.
Uno dei motivi principali della bocciatura risiede nella difficoltà di definire con precisione l’inizio dell’Antropocene, dato che gli impatti umani sulla Terra non sono stati uniformi né nello spazio né nel tempo. Ogni regione del pianeta ha sperimentato alterazioni diverse a ritmi differenti, rendendo complessa l’identificazione di un singolo punto di partenza.
Alla ricerca dell’inizio dell’Antropocene
Per tentare di risolvere questa ambiguità, il team di ricerca ha esaminato 137 siti geologici sparsi in tutto il mondo, ricostruendo 7.700 anni di storia della Terra. Da questa analisi sono emerse tre finestre temporali candidate a segnare l’inizio dell’Antropocene.
La prima finestra temporale, che va dal 1855 al 1890, è strettamente collegata alla rivoluzione industriale. In questo periodo si assiste a un netto aumento nella concentrazione di piombo nell’ambiente, un risultato diretto della produzione industriale e dell’uso diffuso di combustibili fossili. Questo periodo rappresenta il primo segnale evidente dell’influenza dell’uomo sul sistema naturale.
Il secondo periodo rilevante va dal 1909 al 1944, durante il quale si osservano significativi cambiamenti nella composizione dei pollini, riflesso delle alterazioni ambientali causate dalle attività agricole e dall’urbanizzazione. Inoltre, questo periodo mostra un incremento nel nero di carbone, un pigmento prodotto dalla combustione di prodotti petroliferi e carbone, che ha lasciato tracce tangibili nei sedimenti geologici.
Il 1952: l’anno simbolo dell’Antropocene
Il periodo più significativo, tuttavia, è quello che va dal 1948 al 1953. Durante questi anni, e in particolare nel 1952, si registra un’accelerazione senza precedenti dei cambiamenti globali. Questo intervallo temporale coincide con la diffusione delle esplosioni nucleari e la conseguente dispersione di isotopi radioattivi nell’ambiente. Lo stesso anno è stato già individuato come potenziale “confine” dell’Antropocene da precedenti studi condotti sui sedimenti del lago Crawford, in Canada, che presentano strati di plutonio e altre sostanze legate alle attività umane.
Il plutonio e altri elementi chimici prodotti dalle esplosioni nucleari rimangono tra i marker geologici più chiari e inconfondibili dell’influenza umana sulla Terra. Questi sedimenti, che si trovano in siti geologici sparsi in tutto il pianeta, forniscono prove schiaccianti del fatto che, intorno al 1952, l’impatto umano abbia raggiunto un nuovo livello, caratterizzato da un’impronta geologica inconfondibile.
Un’eredità che non possiamo cancellare
Nonostante le divergenze sulla definizione formale dell’Antropocene, non vi è dubbio che l’attività umana abbia lasciato un segno indelebile sulla Terra. L’accelerazione dei cambiamenti ambientali, dallo sviluppo dell’industria alle esplosioni nucleari, ha creato una stratificazione geologica unica, che racconta la storia di un pianeta profondamente trasformato dall’azione dell’uomo.
Le microplastiche, il plutonio e le altre sostanze inquinanti che ora si trovano nei sedimenti di laghi, mari e ghiacci rappresentano un monito costante di quanto profonda sia la nostra influenza. Anche se l’Antropocene non è stato riconosciuto formalmente come un’era geologica, il termine continua a guadagnare rilevanza nel dibattito pubblico e scientifico, diventando una lente attraverso cui osservare e comprendere l’impatto delle nostre azioni.
Il 1952 resta così un simbolo: un anno che non solo segna una svolta nella nostra storia, ma che continuerà a essere una pietra miliare geologica, una traccia lasciata da un’umanità che ha modificato in modo irreversibile il pianeta che chiamiamo casa.