Un recente studio pubblicato su Science Advances ha rivelato nuovi dettagli fondamentali sui meccanismi che permettono al nostro cervello di conservare i ricordi nel lungo periodo. I ricercatori Todd Sacktor e Andre Fenton, insieme al loro team, hanno identificato due molecole chiave – PKMzeta e KIBRA – che lavorano in sinergia per garantire la stabilità dei ricordi.
Comprendere i ricordi all’interno del cervello
Questa scoperta rappresenta una significativa avanzamento nella nostra comprensione di come i ricordi vengano immagazzinati e mantenuti nel tempo. Precedentemente, era noto che il rafforzamento delle connessioni sinaptiche tra i neuroni, un processo chiamato potenziamento a lungo termine (LTP), fosse cruciale per la formazione dei ricordi. Tuttavia, le modalità attraverso le quali questi cambiamenti potessero perdurare per decenni erano poco chiare.
Il nuovo studio ha dimostrato che KIBRA gioca un ruolo essenziale “etichettando” le sinapsi attivate durante l’apprendimento. Successivamente, PKMzeta si lega a KIBRA e mantiene rafforzate queste sinapsi specifiche. Anche se entrambe le molecole hanno una durata limitata, la loro continua interazione è fondamentale per la persistenza dei ricordi.
“Non è PKMzeta che è necessaria per mantenere un ricordo, ma la continua interazione tra PKMzeta e questa molecola di targeting chiamata KIBRA“, ha spiegato Sacktor. “Se blocchi KIBRA da PKMzeta, cancellerai un ricordo vecchio di un mese.”
La teoria dell’importanza di PKMzeta
Questi risultati supportano la teoria dell’importanza di PKMzeta nella memoria, un concetto che era stato messo in discussione da studi precedenti. Inoltre, la scoperta ha chiarito alcune incongruenze precedenti, come la capacità di potenziare PKMzeta nei ratti per migliorare i ricordi più vecchi.
Gli scienziati considerano questa scoperta come una potenziale base per future applicazioni terapeutiche. Sacktor, neurologo, intravede possibilità promettenti nella terapia genica: “Vedo sempre più le possibilità di inserire direttamente proteine nei neuroni attraverso la terapia genica,” ha affermato, suggerendo che l’idea di poter ringiovanire i ricordi non è più così remota.
Tuttavia, l’uso di questa conoscenza per modificare o cancellare ricordi indesiderati, come nel caso del disturbo da stress post-traumatico (PTSD), solleva questioni etiche e pratiche. Ryan Parsons, neuroscienziato non coinvolto nello studio, ha osservato: “Se si volesse utilizzare questo tipo di meccanismo per mirare ai ricordi indesiderati, bisognerebbe trovare un modo per renderlo specifico per certi ricordi. E non so come potrebbe essere fatto.”