Si manifesta soprattutto nella prima adolescenza (13-14 anni) e può essere confuso con l’astigmatismo poiché porta sintomi simili – come visione sfocata o distorta -, eppure il cheratocono è un disturbo degenerativo della cornea classificato come malattia rara oculare che colpisce ogni anno circa cinquanta persone ogni centomila.
Generalmente diffuso nelle aree del bacino del Mediterraneo, in Italia in quelle tirreniche in particolare, il cheratocono “è una patologia cronica ad andamento progressivo, che si manifesta con la perdita di rigidità e resistenza della cornea tanto da deformarsi ed assumere la forma di un cono” – spiega il dott. Domenico Schiano, Responsabile Unità Segmento Anteriore della Fondazione Bietti, unico IRCCS in Italia dedicato all’oftalmologia e sostenuto da Fondazione Roma. – Ciò porta i soggetti con cheratocono ad avere un peggioramento della vista con sintomi simili a quelli dell’astigmatismo, come visione sfocata o distorta – prosegue il dottore. Il difetto visivo generato inizialmente si può correggere con occhiali o lenti a contatto ma il problema fondamentale del cheratocono è che, con il progredire della malattia, si assiste a un assottigliamento e a un progressivo incurvamento della cornea. Di conseguenza i difetti refrattivi non sono più correggibili e la situazione può diventare pericolosa.”
Arrivati, dunque, ad uno stadio avanzato della patologia, laddove non si tolleri più l’utilizzo delle lenti a contatto, l’unica soluzione diventa quella di eseguire un trapianto di cornea lamellare, con tutte le conseguenze e i rischi che ciò può comportare.
Tuttavia, c’è un modo per trattare il cheratocono al fine di fermarne la progressione: si tratta del cross linking corneale, l’unico approccio terapeutico in grado di stabilizzare questo difetto degenerativo della cornea.
“Il cross linking è un trattamento parachirurgico – spiega il dott. Schiano – attraverso il quale la cornea viene “bagnata” da una vitamina, la riboflavina – che la cornea stessa va ad assorbire – e poi trattata con una luce ultravioletta. Tecnicamente, l’obiettivo è quello di aumentare i legami della matrice extracellulare della cornea, causando così un rinforzo del tessuto corneale e quindi una maggior resistenza alla tendenza allo sfiancamento – precisa Schiano -. In questo modo si ottiene la stabilizzazione della patologia nella maggior parte dei casi. Considerando l’efficacia si questo trattamento la questione fondamentale rimane la diagnosi precoce di cheratocono. Infatti, quanto più la diagnosi ed il trattamento avverranno precocemente quanto più il paziente conserverà una qualità della visione migliore”.
La diagnosi avviene attraverso la tomografia corneale che studia curvatura, elevazione e spessore della cornea a più livelli e riesce a individuare la patologia ancor prima della comparsa dei primi sintomi.
“Di fatto non esiste una prevenzione per il cheratocono se non quella di eseguire delle regolari visite oculistiche, soprattutto durante l’età dello sviluppo, quando esiste familiarità per la malattia e quando sussistano sintomi quale visione sfocata. Visite che devono però essere complete della tomografia corneale e altri esami eventuali esami di approfondimento – fa presente Schiano. – Una volta eseguita la diagnosi precoce è possibile eseguire un trattamento nelle fasi iniziali”.
Presso la sede della Fondazione Bietti (Ospedale Britannico) il cross linking corneale da gennaio 2025 sarà un intervento che potrà essere eseguito anche in regime di convenzione con il SNN.
Infine, “oltre alla normale pratica clinica stiamo portando avanti studi sulle differenti tecniche di esecuzione di cross linking corneale. Infatti, oltre alla tecnica classica ne esistono altre, ad esempio quella trans-epiteliale che non prevede la rimozione dell’epitelio. Inoltre, grazie alla collaborazione con la start-up Regensight, stiamo indagando su tecniche di misurazione intraoperatorie del quantitativo di riboflavina assorbito dalla cornea, in modo da stabilire quando si raggiunge un assorbimento ottimale allo scopo di effettuare un trattamento personalizzato sul paziente” conclude il Responsabile Unità di Ricerca Segmento Anteriore della Fondazione Bietti.