Sono passati ormai 26 giorni dalla scomparsa di Giorgio Lanciotti, giovane escursionista abruzzese, e le speranze di ritrovarlo vivo sono ormai flebili. Dopo settimane di incessanti ricerche, impiegando ogni risorsa disponibile, dalle unità cinofile ai droni, dalle squadre di soccorso specializzate ai volontari esperti, si è giunti alla triste decisione di sospendere le operazioni. Una decisione dolorosa, ma resa necessaria dall’inutilità degli sforzi compiuti e dalle difficili condizioni climatiche che hanno ostacolato i soccorritori sin dall’inizio. Come spesso accade in casi simili, sarà la montagna stessa, il Gran Sasso, a decidere quando restituire il corpo di Giorgio.
Una passeggiata che si trasforma in un enigma
Giorgio Lanciotti era un appassionato di montagna, un esperto escursionista che conosceva bene i sentieri del Gran Sasso. Sabato 21 settembre, una giornata come tante altre, Giorgio aveva deciso di salire ancora una volta in vetta. Il piano era semplice: un’escursione in solitaria, una delle sue preferite. Si era fermato a pranzo al Rifugio Franchetti, uno dei punti di riferimento per chi affronta il maestoso massiccio abruzzese. Dopo aver mangiato e riposato, Giorgio aveva continuato la sua salita, raggiungendo la vetta, e poco dopo aveva condiviso con i suoi amici un video su Instagram. Era il segno che tutto stava andando come previsto.
Tuttavia, qualcosa è accaduto durante la discesa. Con il calare della sera, la nebbia ha iniziato ad avvolgere la montagna, rendendo i sentieri più insidiosi e difficili da percorrere. L’ipotesi più accreditata è che Giorgio, presumibilmente disorientato o colpito da un’improvvisa perdita di equilibrio, possa essere caduto mentre cercava di ritornare alla sua auto, parcheggiata nei pressi di Cima Alta. Da quel momento, il suo destino è rimasto avvolto nel mistero.
Il coinvolgimento della comunità e le difficoltà delle ricerche
A dare l’allarme era stato il padre di Giorgio, Gloriano Lanciotti, una figura molto conosciuta nella vita pubblica abruzzese. Non vedendo rientrare il figlio, aveva immediatamente allertato le autorità, dando il via alla macchina delle ricerche. I Vigili del Fuoco, il Soccorso Alpino, i Carabinieri Forestali e quelli della stazione di Pietracamela si erano subito attivati, concentrandosi sulla zona in cui l’escursionista aveva postato il suo ultimo video.
Nonostante questo indizio, il compito dei soccorritori si è rivelato estremamente arduo. Il maltempo, caratterizzato da frequenti nevicate e fitte nebbie, ha spesso costretto a sospendere le operazioni o a limitarne il raggio d’azione. Si è tentato di tutto: droni per sorvolare le aree più impervie, elicotteri per monitorare dall’alto, unità cinofile per esplorare zone nascoste, ma le difficoltà logistiche e ambientali si sono rivelate insormontabili. Anche il versante aquilano è stato esplorato, con l’idea che Giorgio, disorientato, potesse essersi spostato in una direzione inaspettata.
Tuttavia, nonostante lo sforzo congiunto di professionisti e volontari, di esperti del soccorso e semplici appassionati, nessuna traccia concreta è emersa.
Un epilogo che si ripete
Non è la prima volta che il Gran Sasso si prende la vita di uno dei suoi amanti. Il massiccio è noto per essere imprevedibile, con cambiamenti climatici repentini e passaggi pericolosi. Molti escursionisti esperti, fiduciosi della propria preparazione, sono stati sorpresi da un ambiente che non perdona errori.
In passato, altri casi di escursionisti scomparsi si sono risolti solo mesi, o addirittura anni, dopo, quando la natura ha lentamente restituito i corpi delle sue vittime. Le ricerche ufficiali vengono sospese, ma la speranza, per quanto debole, non muore mai del tutto per le famiglie e gli amici di chi si perde tra le montagne.