La 29ª Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP29) si è conclusa a Baku, Azerbaigian, lasciando un quadro complesso di progressi parziali, tensioni geopolitiche e aspettative disattese. Con un focus sull’aumento dei finanziamenti ai Paesi in via di sviluppo e sul tema scottante della transizione energetica, l’evento ha visto scontri tra nazioni ricche e povere, critiche da parte di ONG e osservatori, e risultati che hanno diviso i partecipanti.
Un nuovo impegno finanziario: 300 miliardi di dollari all’anno
Al centro della COP29 vi è stata la promessa di un nuovo obiettivo collettivo: i Paesi sviluppati si sono impegnati a mobilitare almeno 300 miliardi di dollari all’anno fino al 2035 per supportare i Paesi in via di sviluppo nella lotta contro il cambiamento climatico. Questa cifra, 3volte superiore rispetto al precedente impegno di 100 miliardi di dollari stabilito a Copenhagen nel 2009, rappresenta un passo avanti, ma non privo di limiti.
L’accordo prevede che i fondi provengano da diverse fonti: contributi pubblici diretti, investimenti privati e potenziali “fonti alternative” come tasse globali sui trasporti aerei e marittimi, o su grandi patrimoni, ancora in fase di studio. Nonostante questo sforzo, le ONG e i rappresentanti dei Paesi meno sviluppati hanno criticato duramente la cifra proposta, definendola “pietosamente bassa” rispetto ai bisogni stimati di 1.300 miliardi di dollari annui.
Un elemento controverso riguarda il ruolo dei Paesi emergenti come Cina e Singapore, che non hanno obblighi vincolanti di contribuzione, nonostante la loro crescente ricchezza e responsabilità climatiche. L’accordo si limita a “invitare” questi Paesi a partecipare volontariamente al finanziamento, un compromesso che ha suscitato delusione tra i delegati occidentali.
Paesi vulnerabili: concessioni insufficienti
I 45 Paesi meno sviluppati e il gruppo di circa 40 piccoli Stati insulari hanno espresso grande insoddisfazione per l’accordo. Dopo aver minacciato di abbandonare le negoziazioni, questi Paesi hanno ottenuto alcune concessioni, tra cui l’anticipo al 2030 dell’obiettivo di triplicare i finanziamenti provenienti da fondi multilaterali, che riserveranno una maggiore priorità ai Paesi più vulnerabili.
Un altro punto discusso riguarda la natura dei finanziamenti. Attualmente, il 69% dei fondi climatici globali è costituito da prestiti, aumentando il debito di nazioni già economicamente fragili. Le richieste di aumentare la quota di donazioni non hanno trovato riscontro nell’accordo finale, una decisione che molti vedono come una mancanza di solidarietà globale.
Transizione energetica: un tema controverso
Uno degli aspetti più critici della COP29 è stato l’assenza di un impegno esplicito verso l’uscita dai combustibili fossili. A differenza della COP28, che aveva sottolineato l’importanza della transizione energetica, il testo finale della COP29 si limita a menzioni indirette e accenna al gas naturale come “carburante di transizione“. Questa ambiguità ha provocato le critiche di molte ONG e delegati europei, che speravano in un approccio più deciso.
L’Unione Europea, che aveva spinto per un sistema di monitoraggio annuale degli sforzi di transizione, non è riuscita a ottenere l’appoggio necessario. Le resistenze di Paesi produttori di petrolio e gas, come l’Arabia Saudita, hanno svuotato le discussioni di gran parte della loro sostanza, lasciando la questione irrisolta.
Un accordo geopolitico controverso
La COP29 si è svolta in un contesto geopolitico teso. L’Azerbaigian ha fortemente voluto ospitare l’evento, considerandolo un’opportunità per migliorare la propria immagine internazionale. Tuttavia, le dichiarazioni controverse del presidente azero, gli arresti di attivisti ambientali e i contrasti con delegati occidentali hanno creato un clima di tensione.
Il Ministro dell’Ambiente brasiliano, Marina Silva, ha definito l’esperienza a Baku “dolorosa“, mentre molti hanno sottolineato che le tensioni politiche hanno ostacolato il dialogo costruttivo. Nonostante queste difficoltà, l’Azerbaigian ha descritto l’accordo come un successo diplomatico.
Reazioni internazionali: delusione e speranze
Le reazioni all’accordo della COP29 sono state variegate. Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, ha descritto il risultato come una “base da consolidare“, ma ha sottolineato che avrebbe sperato in un maggiore impegno sia finanziario che politico. Ha esortato i Paesi sviluppati a trasformare rapidamente gli impegni in azioni concrete.
L’Unione Europea, per voce del commissario Wopke Hoekstra, ha salutato l’accordo come l’inizio di una “nuova era per la finanza climatica“. Tuttavia, i Paesi meno sviluppati e gli Stati insulari hanno espresso amarezza, sottolineando che l’accordo non soddisfa le loro necessità immediate e che lascia irrisolte questioni cruciali.
Prospettive per la COP30
La prossima COP, prevista nel 2025 a Belém, in Brasile, rappresenterà un momento chiave per verificare i progressi degli impegni presi a Baku. La roadmap annunciata dovrebbe fornire indicazioni su come mobilitare ulteriori risorse finanziarie e aumentare la quota di donazioni. Inoltre, ci si aspetta un rilancio del dibattito sulla transizione dai combustibili fossili.
Un fragile equilibrio
La COP29 ha segnato un passaggio cruciale ma incompleto nella lotta contro il cambiamento climatico. Se da un lato l’aumento degli impegni finanziari rappresenta un passo avanti, dall’altro la mancanza di decisioni ambiziose su mitigazione e transizione energetica mostra quanto sia difficile raggiungere un consenso globale. La strada verso la giustizia climatica globale è ancora lunga e piena di ostacoli.