La puntata di FarWest del 29 novembre ha riportato all’attenzione uno degli episodi più gravi e vergognosi della gestione dell’emergenza Covid-19 in Italia: lo scandalo delle mascherine inutilizzate. Sei milioni di dispositivi di protezione individuale, essenziali durante i giorni più bui della pandemia, sono rimasti accatastati nei magazzini e ora verranno smaltiti come rifiuti, con un costo complessivo di oltre 200 milioni di euro. È una storia che parla di sprechi, incompetenza e una gestione emergenziale dominata da poteri straordinari che si sono rivelati tanto ampi quanto fallimentari.
Un simbolo dello spreco: sei milioni di mascherine al macero
Nel pieno dell’emergenza, quando ospedali al collasso e cittadini disperati lottavano per procurarsi mascherine, sei milioni di dispositivi sono rimasti inutilizzati in magazzini statali, destinati al macero. La JC Electronics, azienda italiana che aveva importato queste mascherine dalla Cina, aveva soddisfatto i requisiti richiesti dall’INAIL. Tuttavia, la struttura commissariale guidata da Domenico Arcuri decise di bloccare la distribuzione, richiedendo un’ulteriore validazione del Comitato Tecnico Scientifico (CTS), una procedura che non fu mai completata.
Perché? Per una “svista”. Il responsabile unico del procedimento, Antonio Fabbrocini, ammise di non aver aperto le PEC inviate dall’azienda, lasciando di fatto la documentazione ferma. In un Paese normale, una vicenda del genere avrebbe portato a dimissioni immediate e a un’indagine approfondita. Invece, tutto si è risolto con una montagna di mascherine accantonate, lasciate a marcire mentre la popolazione lottava per sopravvivere.
La JC Electronics ha fatto causa allo Stato, vincendo un risarcimento di 200 milioni di euro. Oltre al danno morale e sanitario, ora i cittadini italiani pagheranno anche per questa incompetenza colossale. È un paradosso doloroso: chi ha rispettato le regole e lavorato con rapidità è stato ostacolato, mentre altri soggetti, con credenziali discutibili, venivano premiati con contratti miliardari.
Domenico Arcuri
Quando Domenico Arcuri fu nominato Commissario straordinario, gli furono concessi poteri eccezionali per affrontare l’emergenza. Tra questi, la possibilità di bypassare i controlli della Corte dei Conti e uno scudo penale che lo proteggeva da eventuali responsabilità in assenza di dolo. Si trattava di strumenti pensati per agire rapidamente in un momento di crisi. Tuttavia, la gestione di Arcuri è diventata il simbolo di come il potere senza controllo possa trasformarsi in inefficienza e spreco.
L’inchiesta di FarWest ha rivelato come, mentre aziende affidabili come la JC Electronics venivano escluse con scuse burocratiche, altre società, spesso create pochi giorni prima della firma dei contratti, ottenevano appalti milionari. Arcuri e il suo staff avrebbero dovuto garantire trasparenza e tempestività: invece, hanno creato un sistema opaco, incapace di rispondere ai bisogni del Paese e capace solo di accumulare errori.
Un sistema sanitario inadeguato: le parole di Antonella Viola
Durante la puntata, la professoressa Antonella Viola, patologa presso l’Università di Padova, ha offerto una critica severa alla gestione della pandemia in Italia. “La pandemia ci ha sorpresi completamente impreparati. Non avevamo un piano pandemico aggiornato e abbiamo vissuto mesi in cui navigare a vista è stato inevitabile,” ha dichiarato, sottolineando una mancanza strutturale che ha aggravato la crisi.
Alla domanda se oggi il sistema sanitario italiano sarebbe più preparato per affrontare una nuova emergenza, Viola ha risposto con amarezza: “Devo dire di no, perché in questo momento il nostro sistema sanitario sta soffrendo per una mancanza di personale. Possiamo costruire tutte le strutture che vogliamo, ma se non c’è il personale dedicato, i problemi sono enormi.” Le sue parole evidenziano un dato inconfutabile: non solo lo Stato non era preparato allora, ma non lo è nemmeno oggi. Il sistema, anziché migliorare, continua a mostrare le sue crepe.
Mediatori milionari e contratti opachi
Uno degli aspetti più sconcertanti emersi dall’inchiesta riguarda la gestione dei contratti di fornitura. Una commessa da 1,2 miliardi di euro ha permesso l’importazione di 800 milioni di mascherine da tre aziende cinesi sconosciute. Alcune di queste società erano state create pochi giorni prima della firma dei contratti. Mario Benotti, ex giornalista Rai e mediatore di questa operazione, avrebbe incassato, secondo quanto riportato nella puntata di FarWest, provvigioni milionarie senza alcuna esperienza nel settore.
Questo modello di gestione solleva interrogativi gravissimi: come è possibile che figure senza competenze abbiano avuto accesso a contratti miliardari? Perché non sono stati fatti controlli adeguati? Mentre le società improvvisate venivano premiate, fornitori come la JC Electronics venivano esclusi per ragioni burocratiche pretestuose. È evidente che il sistema emergenziale non è stato concepito per servire i cittadini, ma per alimentare un meccanismo opaco di favoritismi e sprechi.
Quando il virus è più veloce della burocrazia
L’inchiesta di FarWest ha evidenziato il fallimento di un sistema che non è stato in grado di rispondere all’urgenza. Mentre il virus si diffondeva a una velocità impressionante, la macchina burocratica rimaneva paralizzata da inefficienze, decisioni ritardate e contraddizioni interne. Le mascherine bloccate nei magazzini sono l’emblema di una burocrazia incapace di adattarsi e di agire, anche in situazioni di emergenza estrema.
Chi pagherà il prezzo di questo fallimento?
Lo scandalo delle mascherine non è solo un episodio di spreco economico: è il simbolo di uno Stato che ha fallito nel suo compito fondamentale di proteggere i cittadini. Sei milioni di mascherine inutilizzate, 200 milioni di euro sprecati, contratti opachi affidati a mediatori senza esperienza: tutto questo rappresenta un insulto alla popolazione italiana, che ha pagato con la propria salute e il proprio denaro per l’incapacità delle istituzioni.
La gestione della pandemia avrebbe dovuto insegnarci qualcosa. Ma, come evidenziato dalla professoressa Viola, il sistema sanitario e quello burocratico non sono migliorati. Se non si interviene con riforme radicali – più trasparenza, più efficienza, più responsabilità – rischiamo di ripetere gli stessi errori. E la prossima emergenza potrebbe costarci ancora di più, in vite umane e in fiducia nelle istituzioni.