“Adesso per Bove comincia un’altra partita, che probabilmente non si svolgerà in Italia. Con il defibrillatore sicuramente in Italia non si può giocare. Abbiamo dei precedenti con Eriksen, al quale è stato impiantato un defibrillatore. La legislazione italiana è molto severa in questo rispetto ad altri Paesi. Nei giovani atleti le morti improvvise si possono verificare per diversi motivi, come problematiche congenite o aritmie genetiche che sono difficili da scoprire. Poi ci sono anche delle condizioni acquisite come le miocarditi”. Così Antonio Rebuzzi, docente di Cardiologia all’Università Cattolica di Roma, a ‘La Politica nel Pallone’ su Gr Parlamento.
“Nel caso di Bove si tratta di un’aritmia cardiaca complessa, che genera un’impossibilità del sangue di arrivare agli organi -sottolinea Giacomo Mugnai, elettrofisiologo dell’ospedale universitario Borgo Trento di Verona-. Può essere a causa di una carenza di potassio e di una miocardite che aveva già avuto in passato. Possiamo fare delle supposizioni in merito a dei rischi aumentati in seguito alla miocardite. Ad oggi può essere intercettata la stragrande maggioranza di possibili problemi cardiaci, infatti il rischio di morte è stato ridotto. Però restano alcuni casi che non possono essere diagnosticati dalle visite. Bisogna educare alla defibrillazione in campo, anche il personale non sanitario”.
“Bove? È stato un drammatico infortunio che ha tenuto tutti con il fiato sospeso e ha scosso l’intera comunità sportiva -spiega Giuseppina Iemma, dirigente medico cardiologa-. Nessuno è esente da eventi acuti. Bove è un atleta sottoposto a continui controlli, per fortuna è stato prontamente rianimato. Bisogna educare alla defibrillazione immediata. La lettura scientifica descrive casi di questo genere, le recenti raccomandazioni italiane sono abbastanza stringenti. Qui in Italia c’è un’attenzione particolare alla salute dell’atleta. Alla fine è lo stesso atleta che si assume i rischi legati all’attività sportiva. Auguriamo a Bove tanta speranza ed una pronta guarigione”.
“In Italia c’è una legge che impone agli sportivi di avere una certificazione agonistica e ci sono condizioni che non prevedono questa idoneità -dichiara Antonio Spataro, cardiologo e medico dello sport-. Una di queste è sicuramente quella in cui è incorso Edoardo Bove. Chi ha un defibrillatore non può ottenere una certificazione per l’attività agonistica. A distanza di sei mesi dall’impianto può partecipare ad attività agonistiche con uno sforzo moderato e non di contatto, perché un colpo brusco potrebbe rompere il defibrillatore e mettere in pericolo il soggetto. Gli altri Paesi lasciano liberi i soggetti di decidere se continuare a giocare oppure no. Questo apre un dibattito di etica. Se un soggetto guadagna molti soldi giocando, penso che alla fine aderisca. Noi siamo all’avanguardia sotto questo punto di vista, abbiamo una normativa differente”.
Le parole del cardiologo Grimaldi
“Se il ragazzo avesse avuto un arresto cardiaco provocato da una causa non removibile con certezza, il defibrillatore è l’unica strada ed è il protocollo che sarebbe seguito in ogni caso, al di là del fatto che sia giovane e atleta. Va impiantato con una indicazione assoluta perché è un dispositivo per la prevenzione secondaria, ovvero il defibrillatore non previene l’evento, ma lo può risolvere quando accade. Quindi se la decisione sarà per l’operazione di impianto, al momento non lo sappiamo, è chiaro che non si è certi delle cause del malore accaduto durante Fiorentina-Inter, ad esempio non si è certi che possa essere stata una ipopotassiemia”. Lo spiega all’Adnkronos Salute Massimo Grimaldi, presidente designato dell’Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri (Anmco) e direttore di Cardiologia dell’Ospedale Miulli di Acquaviva delle Fonti (Bari).
Un defibrillatore, “‘osserva’ il cuore in maniera continua e se non accade nulla per anni non interviene, ma se c’è un arresto o una aritmia ventricolare il dispositivo interviene per ristabilire il funzionamento” dell’organo, precisa lo specialista. Il caso Bove non deve stupire, “sono tanti i giovani con ablazioni e defibrillatori, ma per un calciatore professionista in linea di massima non sarà possibile avere l’ideoneità sportiva agonistica in Italia – chiarisce Grimaldi – Tanti fanno l’esempio di un altro calciatore che ha avuto un arresto cardiaco in campo, Christian Eriksen, ma dobbiamo chiederci: di quale patologia di base parliamo? Se non è evolutiva, ad esempio, ma stabile nel tempo e ho il defibrillatore potrei riprendere la mia carriera agonistica”, non in Italia, ma nel Regno Unito sì, come nel caso del giocatore danese. “Ma ci sono patologie che evolvono come la displasia aritmogena, in cui lo sforzo fisico è in grado di accelerare la malattia e può provocare un danno e la progressione della patologia”.
“Mi dispiace fino ad un certo punto se Bove non potrà avere l’idoneità sportiva in Italia, perché noi dobbiamo proteggere la vita e nel suo caso, è vivo e senza danni, il sistema ha funzionato – evidenzia il cardiologo – Ci sono state tragedie sui campi di calcio che non siamo riusciti ad evitare, il caso Bove deve essere un esempio positivo. L’idoneità sportiva agonistica tutela la vita in ogni sport e ad ogni livello, dal campetto di periferia al grande stadio della Serie A”.
Al di là del caso Bove, chi ha un defibrillatore impiantato può fare attività sportiva? “Sì, se la sua patologia, come dicevamo prima, non è evolutiva – risponde Grimaldi – In questi casi un’attività non ad alta intensità, una passeggiata o una corsetta blanda, può anche aiutare e avere un effetto protettivo. Mentre in altri casi – con una malattia più a rischio di progressione se si è sotto sforzo – va evitato”, puntualizza l’esperto.
Infine, “l’insegnamento che dovremmo tranne dalla vicenda di Edoardo Bove – rimarca Grimaldi – è quello di estendere i controlli e la possibilità di un intervento rapido, perché non riusciamo ancora a prevenire le morti improvvise. C’è un esempio virtuoso: il ‘Progetto Vita’ a Piacenza, il primo in Europa a occuparsi di defibrillazione precoce per contrastare la morte improvvisa da arresto cardiaco con la diffusione del dispositivo automatico portatile nella città e i corsi per usarlo fatti alla cittadinanza. Lo step futuro – conclude lo specialista – sarebbe di poter dotare ogni famiglia che ha una persona con determinati fattori di rischio per l’arresto cardiaco di un defibrillatore automatico. Oggi costa meno di un cellulare e sappiamo quanti telefoni ci sono in una famiglia”.