“Gli abeti delle Dolomiti prevedono l’eclissi”: polemica su uno studio

Numero di alberi esiguo e risultati poco convincenti: le critiche allo studio condotto in Italia
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È polemica sugli abeti rossi delle Dolomiti che sentono con diverse ore di anticipo l’arrivo di un’eclissi di Sole, scambiandosi segnali bioelettrici e sincronizzandosi tra loro in quello che appare un comportamento complesso e organizzato. Secondo diversi ricercatori, lo studio, guidato dall’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova e pubblicato sulla rivista Royal Society Open Science, ha esaminato un numero di alberi troppo esiguo, solo 3 alberi sani e 5 ceppi di vecchie piante abbattute dalla tempesta Vaia nel 2018, e i risultati sono poco convincenti poiché sono possibili diverse spiegazioni alternative. “Il fatto che questo articolo sia stato pubblicato ha generato una forte preoccupazione tra i miei colleghi”, ha detto James Cahill, un ricercatore dell’Università dell’Alberta in Canada, parlando con il sito Live Science. “Lo studio non soddisfa quelli che definirei gli standard di base necessari per qualsiasi ricerca scientifica”.

Il ricercatore afferma che molte piante e animali rispondono a luce e buio e quindi non dovrebbe sorprendere che le piante reagiscano all’avvicinarsi dell’oscurità. Inoltre, molti alberi possiedono sistemi sensoriali in grado di percepire i cambiamenti di luce blu e ultravioletta che tendono a presentarsi per primi all’orizzonte, quindi possono spiegarsi così le variazioni nei segnali osservati già ore prima dell’eclissi. “È deludente che questo articolo stia ricevendo così tanta attenzione da parte della stampa – aggiunge Cahill – perché è solo un’idea. L’esperimento avrebbe dovuto essere replicato e non hanno confrontato il fenomeno tra giorno e notte, che sarebbe stata la cosa ovvia da fare”.

Come riporta Live Science, Alessandro Chiolerio di Iit e University of the West of England a Bristol, che ha guidato la ricerca, afferma che le dimensioni ridotte del campione sono dovute alle difficoltà di operare a oltre 2mila chilometri di altitudine, in un ambiente dove le temperature scendono fino a -15°C. “A causa della complessità dell’esperimento, che prevedeva il monitoraggio degli alberi 24 ore su 24, 7 giorni su 7 e in condizioni alpine, ci siamo concentrati su un numero limitato di esemplari accuratamente selezionati”, commenta Monica Gagliano dell’australiana Southern Cross University, tra gli autori dello studio. “Nonostante le dimensioni del campione, i dati sono risultati robusti e coerenti tra gli alberi e i diversi siti. Tuttavia – conclude Gagliano – si tratta di uno studio iniziale, lo consideriamo una base di partenza per ricerche più ampie”.