Di Gianluca Congi – In alcune zone della Sila calabrese, sembra di vivere all’interno di una stagione surreale, dove, al verde intenso dell’erba e ai colori variopinti delle fioriture primaverili, si alternano, le varie tinteggiature delle fronde degli alberi. Si passa, repentinamente, dal verde cupo dei pini larici calabresi al verde chiaro delle latifoglie, che, timidamente, stanno cominciando a rivivere. Nel mezzo di tutto quest’incanto, tipico delle austere e lussureggianti foreste silane, giungono le note dolenti. Interi crinali, gruppi numerosi di alberi o piante singole, per lo più, appartenenti alla specie Faggio (Fagus sylvatica), si presentano, stranamente, con la chioma di colore marrone scuro tendente al rossiccio.
Da lontano, la percezione ottica è davvero inusuale, nemmeno i più anziani ricordano un fenomeno così esteso e di quest’entità, eppure, quei boschi, situati nelle zone più elevate ed esposte a nord – nord est, hanno qualcosa che non va! Inizialmente erano girate più voci, circa una presunta malattia che stava affliggendo i faggi, ma poi, ognuno si è reso conto, che a provocare il disseccamento delle foglie, totale o parziale, secondo l’intensità del fenomeno, era stata la grave gelata tardiva di fine aprile. La gelata in questione, era stata seguita da un periodo di freddo intenso (sotto lo zero termico), accompagnato, addirittura, da tardive nevicate, cadute primi giorni di maggio. Il pungente gelo approdato dopo l’anomalo caldo, è stato un devastante matrimonio per le piante, che proprio in quel periodo, avevano da poco sfoggiato la nuova splendente chioma, poi, tristemente e letteralmente “bruciata”, per ettari ed ettari di superficie.
I danni arrecati sono stati notevoli: dal paesaggio che si presenta tuttora sfregiato, ai molti alberi da frutto che quest’anno resteranno manchevoli di qualsiasi produzione, all’arresto o fortemente limitato accrescimento legnoso annuo, specie nei faggi, la pianta arborea, senza alcuna ombra di dubbio, più duramente colpita! Non va nemmeno dimenticato, che le piante interessate, saranno, ugualmente più esposte all’attacco di agenti patogeni, e che quindi, potranno di conseguenza deperire in forza ad un mix di cause correlate. Altri eventi climatici avversi, quali ad esempio, la siccità prolungata, nella prossima stagione estiva (quest’anno i rilievi della Sila, hanno visto pure pochissima neve), potrebbero, rappresentare un ulteriore fattore di stress fisiologico, con molti alberi destinati a soffrire ulteriormente, ci auguriamo, che tutto ciò non avvenga!
Fenomeni simili, nel medesimo arco temporale, pare, si siano registrati parimenti in altre aree appenniniche, evidentemente frutto degli stessi strani effetti climatici. Le latifoglie, stimolate dal gran caldo di aprile, e di conseguenza lanciate su un falso ed effimero risveglio vegetativo, sono state colpite e, tradite dall’ondata di gelo improvviso, calato silenziosamente, come un velo di morte per miliardi di foglioline appena formate (per ciò particolarmente tenere e quindi indifese verso le avversità atmosferiche).
Siamo andati, nuovamente, nel cuore della montagna, con la finalità di osservare più da vicino e a distanza di un mese circa, lo stato di salute dei boschi feriti dal tragico evento climatico. Come sempre, sono balzati subito agli occhi, una serie di aspetti pratici, visibili anche ai meno esperti. Il viaggio è stato condotto all’interno del Parco Nazionale della Sila, in una delle aree più colpite in assoluto, le foreste di Pettinascura, la cui cima raggiunge i 1689 metri sul livello del mare, qui, ci troviamo, in un comprensorio selvoso, di notevole estensione e di grande valore ambientale-paesaggistico, situato tra i comuni di San Giovanni in Fiore e Longobucco, nel cosentino. E’ il cuore del vecchio Parco Nazionale della Calabria, in gran parte di proprietà dello Stato, ma insistono pure boschi comunali e di privati. Nell’area in questione, come detto estesa per migliaia di ettari, abbiamo costatato che alle quote meno elevate, diciamo pure dai 1350 ai 1450 metri, la situazione è in netto miglioramento, con le nuove foglioline, che faticosamente, stanno rigenerando le chiome dei faggi, dei cerri e degli aceri, che erano stati per lo più colpiti parzialmente dal fenomeno della gelata tardiva.
Dai 1500 metri ai 1600 o poco più su, gli effetti della gelata sono ancora purtroppo evidenti, particolarmente nelle aree più esposte, mentre nelle valli fluviali il fenomeno è in regressione. Piante giovani e mature, che a stento stanno facendo rispuntare le foglie, alberi che sembrano caduti in un profondo stato comatoso, appaiono rossastri e fanno da capolinea, in molte verdi e cupi pinete, intanto, anche quassù, ieri, è stata una giornata finalmente mite, con i timidi abbozzi, che stanno sbocciando in segno di un nuovo risveglio, dopo la tormenta, abbattutasi, a metà, tra la primavera e l’estate! Gli effetti attuali del post – fenomeno “gelata tardiva”, sono il deposito delle foglioline morte e giacenti nel sottobosco, esse, rappresentano un vero e proprio paradosso, sembra davvero di stare nel bosco in piena stagione autunnale – invernale.
Con la speranza che la naturale decomposizione, possa smaltire quest’apporto di ulteriore e imprevisto materiale, intanto un maggiore pericolo per gli incendi boschivi è in agguato, perfino, per questo tipo di vegetazione, solitamente, molto meno interessato dalla piaga del fuoco. Un altro aspetto non di poco conto è quello legato alla fauna selvatica. Ci sono porzioni di foresta, anche di una certa consistenza, che presentandosi senza la chioma tipica del periodo, non rappresentano, di fatto, un ambiente ottimale per la nidificazione di alcune specie di avifauna; da alcune osservazioni fatte e dall’ascolto dei richiami, ci siamo subito resi conto che, quelle zone non avevano granché da offrire, specie come riparo, per diverse specie di uccelli tipicamente forestali. La stessa cosa, potrebbe valere per la fauna ungulata (caprioli, cervi e cinghiali), che avrebbero, più difficoltà a nascondersi dai predatori o da qualche furfante (bracconiere).
Il sottobosco (grazie alla mancanza delle lamine fogliari degli alberi), presentandosi più secco ed esposto agli effetti diretti della luce e degli agenti atmosferici, verosimilmente, ci è parso più povero di vita animale e vegetale. In questo scenario descritto, pur non avendo prove scientifiche nelle mani, ma essendo il tutto, frutto di attente osservazioni, corredate da una profonda conoscenza dei luoghi e, delle variegate specie vegetali e animali che in essi insistono, vi è stata, più d’una evidenza tangibile, registrata e documentata durante l’escursione. La faggeta in quota, si sta gradualmente riprendendo, ci vorranno ancora molti giorni prima di rientrare nella normalità della stagione, di sicuro, sulle montagne più elevate della Sila, la natura, ha subito una sberla, non di poco conto, i cui effetti reali, forse, nessuno riuscirà mai a calcolare. Inverni miti e poveri di neve, primavere calde e gelate, estati secche e brevi, autunni spesso false repliche di ogni diversa stagione, rappresentano, un quadro preoccupante e desolante, che si ripete ormai troppo spesso. Tra i tanti clamori, appelli e proclami, poco o niente è stato fatto, specie da parte di quei paesi, che sul clima, hanno preso impegni che puntualmente disattendono, favorendo, al contempo, uno scenario tutt’altro che positivo. I fenomeni delle gelate tardive registrate nell’area appenninica italiana, con riguardo all’areale meridionale e alla Sila calabrese nello specifico, hanno dimostrato, quest’anno, che proprio dall’analisi degli effetti locali, dovrebbe innescarsi un’inversione di tendenza globale!
Gianluca Congi © – www.gianlucacongi.it