Se n’è andato Derek Walcott, il poeta dell’andare oltre i confini, l’uomo che odiava tutte le etichette e definiva se stesso un “diarista della sabbia”. L’Omero dei Caraibi amava l’oralità e la musicalità dei versi. Vinse il Premio Nobel nel 1992 e vide così finalmente riconosciuti l’opera di “un grande poeta della lingua inglese nero” come fu definito il suo maggior estimatore Iosif Brodskij a cui ha dedicato le “Egloghe italiane”. Nato nell’isola di Saint Lucia il 23 gennaio 1930, Walcott, era figlio di un insegnante e di un pittore che lo ha lasciato quando era piccolo, ha pubblicato nel 1948 il suo primo testo “25 poems” in cui e’ compresa “Prelude” il manifesto della sua futura poetica. Oltre ad essere poeta fu anche giornalista e pittore come il padre, amava la lettura a voce alta dei suoi versi, ed ha esordito scrivendo in inglese e non in creolo per essere ascoltato meglio, per gridare a gran voce la sua rabbia di uomo di frontiera che tesse la trama di una rivoluzione pacifica alla ricerca dell’origine delle cose.
“Io, con le gambe incrociate alla luce del giorno, guardo i pugni variegati di nuvole che si raccolgono sopra gli sgraziati lineamenti di questa mia isola prona” scrive il poeta che si sentiva molto legato all’Italia dove le sue opere principali sono state pubblicate da Adelphi, l’ultima e’ ‘Egrette bianche’, nel 2015. Tra le principali “Omeros” (1990), storia caraibica in 8.000 versi, “Mappa del nuovo mondo’ (Collected Poemes)”, “Prima luce, Isole. Poesie scelte (1948-2004)”, “Il levriero di Tiepolo” un poema sull’arte e sulla memoria sullo sfondo della vita di due artisti caraibici, Camille Pissarro e lo stesso Walcott, e “La voce del crepuscolo”. Proprio quest’isola rappresenta molto per la sua letteratura: si trova il popolo dei “perduti/trovati solo/in opuscoli turistici, dietro ardenti binocoli/trovati nel riflesso blu di occhi/che hanno conosciuto metropoli e ci credono felici qui”, il punto di partenza verso la conoscenza del mondo.
E dopo il Nobel ha spiegato: “Penso in inglese. Se scrivessi in creolo sarei una specie di traduttore di me stesso. Forzando un poco le cose e’ la stessa ragione per cui Dante scrisse in volgare”. E a proposito del multiculturalismo di cui tanto si parla in questi anni, nelle Indie occidentali era una realtà “molto prima che questa parola nascesse” diceva Walcott che ha vissuto a Trinidad, dove negli anni ’60 e ’70 ha fondato e diretto un teatro. La prima volta che ha pensato di diventare scrittore, come ha piu’ volte raccontato, aveva 8 anni e a 18 scrisse le prime poesie caraibiche. La madre mise assieme tutti i suoi soldi, 200 dollari, per farle pubblicare. La sua poesia è ispirata da Dante e dalla cultura occidentale, la natura e’ al centro d’ogni discorso: lo scrosciare della pioggia, o il sole, i canneti fruscianti e le onde ricche di spuma sempre manifesti di uno stato d’animo. E’ cosi’ anche nella raccolta del 1997 “The Bounty”, uscita in Italia con il titolo “Il dono” nella traduzione di Andrea Molesini con poemetto d’apertura dedicato alla madre. Vincitore nel 2006 del Premio Internazionale Grinzane Cavour, perche’ “nella poesia, piu’ libera e anarchica della prosa, si cela l’anima piu’ antica e vera dell’individuo“, il “nero rosso” Walcott, come amava definirsi, ci lascia in eredita’ l’immagine della poesia come di “una preghiera davanti a forze piu’ grandi di quelle della mente che la concepisce”.