I lettini solari costano negli Usa 343 milioni di dollari l’anno solo per i costi diretti legati ai tumori della pelle, mentre se si tiene conto delle perdite economiche lungo tutta la vita dei pazienti la cifra arriva a oltre 127 miliardi. Lo ha calcolato la North Carolina University con uno studio pubblicato sul Journal of Cancer Policy. La ricerca si è concentrata su tre tipi di tumore, il melanoma cutaneo, il carcinoma a cellule basali e quello a cellule squamose, identificando i casi totali diagnosticati negli Usa nel 2015 e stimando quelli dovuti ai lettini sulla base della prevalenza nell’uso e sul rischio relativo. Oltre 263mila tumori secondo gli autori sono attribuibili all’abbronzatura ‘artificiale’, che nel paese e’ praticata da 30 milioni di persone l’anno, mentre in Italia si stima che una persona su cinque li utilizzi. Da questo dato, sulla base delle spese per le cure, i ricercatori sono arrivati alla cifra di 343,1 milioni di dollari per i pazienti diagnosticati nel 2015. Gli stessi pazienti, nell’arco della loro vita, avranno invece una perdita economica di 127 miliardi di dollari. “I calcoli sono tutti conservativi, e quindi la stima è per difetto – sottolinea Hugh Waters, uno degli autori –. L’impatto potrebbe essere piu’ alto. Speriamo che questi risultati aiutino negli sforzi per una riduzione dell’uso di questi dispositivi”.
Secondo Tofanelli, le novita’ che scaturiscono da questa ricerca “sono proprio i diversi gradi di isolamento che, nel tempo, l’interazione tra variabilita’ genetica, ambiente fisico e cultura ha prodotto in queste comunita’: si passa da casi come quello dei Ladini della Lessinia o degli Arbereshe della Sicilia, in cui una radicata identita’ linguistica si accompagna a un profilo genomico difficilmente distinguibile da quello delle popolazioni limitrofe, a casi di isolati negli isolati, come quello dei paesi alpini di Sauris e Sappada, che distano pochi chilometri in linea d’aria e che condividono una matrice linguistica derivata dal tedesco medievale delle loro origini, ma in cui la divergenza genomica e’ inaspettatamente alta“. Il lavoro vanta anche la collaborazione di altre quattro universita’ italiane (La Sapienza di Roma, Bologna, Cagliari, Sassari) e numerose istituzioni internazionali di ricerca.