Coronavirus, parla un cittadino di Codogno: “Supermercati chiusi e risse per trovare l’untore”

Di seguito la testimonia di un abitante di Codogno, epicento del focolaio del coronavirus: situazione complessa con supermercati chiusi e panico
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Lunedì mattina nero per l’Italia che si sveglia con l’ombra del coronavirus. Scuole chiuse in quasi tutte le regioni del Nord: Lombardia, Veneto, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e Liguria. Stop anche ai luoghi di cultura, in Lombardia chiuso il Duomo, ma anche bar e discoteche dalle 18, il Veneto blinda le chiese, in Piemonte stop a cinema e palestre: è un attacco forte quella dell’Italia che vuole circoscrivere il focolaio del contagio.

Le misure più drastiche sono quelle che interessano proprio il Lodigiano, da cui il coronavirus diffusosi in Italia sembra partito, nonostante non si conosca ancora il paziente 0. Paesi blindati, con 50.000 persone in quarantena, supermercati presi d’assalto: la situazione è drammatica.

A raccontarla, un giovane cittadino di Codogno intervistato via Skype dai redattori di Open, il giornale di cui Enrico Mentana è direttore.

“La città vuota fa un po’ impressione, la gente è preoccupata ed esce meno. – racconta Roberto a Open – Mio padre è andato a cercare un supermercato e da noi, a Codogno, erano tutti chiusi. Così si è recato a Casalpusterlengo, il comune più vicino al nostro, dove ce n’erano tre aperti e in uno di questi facevano entrare a 50 alla volta, creando di fatto una coda all’esterno”.

Grazie alla testimonianza “di una persona che era lì presente” – prosegue il racconto di Roberto – “una persona di Codogno è stata riconosciuta e così è partito un tafferuglio, una rissa”: “Si è generata la caccia all’untore. E, invece, dovete sapere che non siamo tutti ammalati, non tutti siamo portatori del virus”.

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Credit: NIAID-RML

Roberto, insegnante di scienze naturali e anatomia in un istituto superiore di Casalpusterlengo prosegue: “Non possiamo uscire dalla nostra città, ci sentiamo un po’ confinati. Io non posso nemmeno andare a lavoro perché la scuola dove insegno è stata chiusa così come ristoranti e bar. Non abbiamo altri passatempi per occupare le nostre giornate”.

Del resto, conclude Roberto in questa intervista, anche prima del decreto ufficiale aveva deciso di “uscire di meno, avere pochi contatti sociali e annullare un viaggio a Napoli. Non c’è allarme, ma preoccupazione e qualche buona norma di precauzione non guasta: l’allerta resta alta.

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