Ilaria Capua è uno dei massimi esperti internazionali in virologia e a Gennaio aveva lanciato l’allarme per il Coronavirus in tempi non sospetti, quando tutti ridacchiavano scettici e la accusavano di allarmismo. Ieri ha pubblicato in Francia su “Le grand continent” un’intervista molto approfondita in cui ha fatto il punto della situazione: riportata in Italia su Fanpage, l’intervista svela particolari inquietanti sulla situazione pandemica in corso a livello internazionale.
Innanzitutto Ilaria Capua spiega come “Attraverso le infrastrutture di comunicazione siamo riusciti ad accelerare (e quindi a trasformare qualitativamente) dei fenomeni che prima mettevano millenni ad accadere. Pensiamo al virus del morbillo: non era altro che una mutazione della peste bovina che si è trasmessa all’essere umano quando abbiamo iniziato ad addomesticare la mucca. Il morbillo ha invaso il mondo camminando, a piedi. Pensiamo all’influenza spagnola, che un secolo fa ci ha messo ben due anni per diffondersi. Questa volta invece sono bastate un paio di settimane. Un virus che stava in mezzo a una foresta, in Asia, è stato improvvisamente catapultato al centro della scena, passando da un mercato in cui venivano radunati animali provenienti da aree geografiche molto diverse. Siamo noi ad aver creato l’ecosistema perfetto per generare spontaneamente delle armi biologiche naturali. Nel ciclo naturale, se pure il virus usciva dalla foresta andava a finire in un villaggio di cento persone e lì esauriva il suo ciclo di vita. Noi stiamo vivendo un fenomeno epocale, ovvero l’accelerazione evolutiva del virus. La tecnologia è troppo veloce per quello che la biologia è in grado di assorbire“.
Poi, concentrandosi sulla situazione italiana, Ilaria Capua afferma che “Di fronte alla catastrofe attualmente in corso in Lombardia, con i suoi elevatissimi tassi di contagio e di letalità rispetto agli altri focolai, è urgente porsi la domanda. Che cos’è successo a Codogno, a Bergamo, a Brescia? In questa fase possiamo soltanto fare delle ipotesi. Io credo che ci siano dei fattori, che ancora non conosciamo, che possono favorire la diffusione e la permanenza del virus, eventualmente legati alle strutture ospedaliere. Esistono esempi precedenti: il virus SARS 1 era circolato attraverso la condotta dell’aria dell’Hotel M a Hong Kong. Oggi noi dobbiamo essere certi che il coronavirus non sia entrato negli impianti di aerazione di edifici vetusti. Anche la letalità potrebbe essere legata a diversi fattori ancora da studiare. Si possono fare infinite ipotesi con criteri epidemiologici: caratteristiche demografiche (età e sesso), qualità dell’aria, resistenza agli antibiotici, abitudini alimentari, comportamenti… Una spiegazione si deve trovare. Se la Lombardia non fosse un caso eccezionale, se dopo Milano allo stesso ritmo dovessero cadere Roma e Parigi e Londra e tutte le altre città, allora avremmo a che fare con una catastrofe di proporzioni gigantesche, persino più grandi di quelle con cui ci stiamo confrontando ora. Per quello abbiamo bisogno di capire cosa sta succedendo“.
Sui morti “con” o “per” Coronavirus, Ilaria Capua chiarisce: “C’è sicuramente una strumentalizzazione che rende più difficile affrontare la questione a mente fredda. Ogni morte è una tragedia. Ma noi stiamo cercando di gestire una pandemia, ovvero evitare altre morti, e ogni decesso rappresenta delle informazioni preziose. Quindi sì, distinguere tra morti “da” coronavirus o “in associazione” al coronavirus è necessario. Che possano nascere delle polemiche su questo è molto grave. Noi dobbiamo fare queste distinzioni perché ci aiutano a verificare delle ipotesi. Quello che sta accadendo in Lombardia, ripeto, deve essere chiarito. La questione dei criteri di reporting dei casi è fondamentale: abbiamo bisogno di dati armonizzati a livello nazionale, europeo, mondiale. Altrimenti brancoliamo nel buio“.
Infine, l’esperta conclude: “Stiamo vivendo un grandissimo esperimento evolutivo. Ma siamo ancora noi la specie animale in cabina di pilotaggio, non possiamo chiedere al lombrico di venire a risolvere i nostri problemi. Non c’è dubbio che di tutto questo conserveremo i segni più nella coscienza che nei corpi“.