“A me, scusi la brutalità, non me ne frega niente di essere un eroe. Non sono un un paracadutista della Folgore che va sui terreni minati in Afghanistan. Vorrei solo fare, anche in condizioni estreme come queste, il mio lavoro”. Roberto Carlo Rossi è il presidente dell’ordine dei Medici di Milano, città insidiata da un contagio sempre crescente di coronavirus in una regione che conta già 13 morti tra i suoi colleghi e centinaia di ammalati.
Per ciascuno di loro, sul sito nazionale dell’Ordine, c’è una croce accompagnata dai versi del più grande poeta italiano ‘di guerra’, Giuseppe Ungaretti: “Cessate di uccidere i morti/ Non gridate più/Non gridate/Se li volete ancora ancora udire/Se sperate di non perire”.
I medici si sentono ‘nudi’ in questo scenario dai contorni bellici in quanto privi di sufficienti presidi sanitari per proteggersi, anche nei reparti che accolgono tutto l’universo di malati non Covid-19, e perché non gli vengono fatti i tamponi se non quando presentano sintomi molto seri, spesso tali da richiederne il ricovero. Nelle loro parole c’è anche la disperazione di chi sa che puo’ trasformarsi da guaritore ad amplificatore del virus.
“Se un cittadino puo’ infettare due persone – ragiona Guido Marinoni, presidente dell’Ordine di Bergamo, dove si contano due decessi e 130 malati tra i suoi iscritti – un medico ne infetta almeno dieci. Ora il tampone viene fatto solo ai sintomatici, magari anche un po’ in ritardo perche’ le disponibilita’ sono poche. Sarebbe opportuno farlo invece a tutti, tenendo conto della scarsita’ dei presidi che comporta un rischio molto alto di diffusione”.
Tra le persone che possono contagiare i medici ci sono i loro stessi colleghi. Una possibile soluzione per evitare il passaggio fratricida della malattia ci sarebbe ed e’ gia’ stato sperimentato con successo in Asia.
“Le linee guida di Singapore – spiega una fonte medica di un ospedale milanese – stabiliscono la suddivisione di e’quipe pulite ed e’quipe sporche: le prime sono composte solo da operatori non positivi, le seconde solo da malati. Quando uno dell’e’quipe pulita si ‘sporca’ viene curato o comunque messo in quarantena, e poi torna nel gruppo in cui stava. Il presupposto, naturalmente, e’ quello di fare i tamponi anche agli asintomatici”.
“L’alternativa pero’ sarebbe infettarsi tutti tra di noi – commenta Rossi – e prima sai quanti sono i contagiati, prima li puoi contenere. La stragrande maggioranza poi guarisce e puo’ tornare al lavoro dopo un po’ di tempo. I tamponi pero’ andavano fatti prima o anche adesso, ma se li fai tra due mesi, nel frattempo la frittata e’ stata fatta”. Alcuni medici nelle loro chat lamentano di non sapere chi tra loro e’ positivo: “Non c’e’ nemmeno questa trasparenza, almeno ci devono dire i rischi che corriamo nel nostro ospedale”.
C’e’ poi il tema dei pazienti non Covid-19 che rischiano di essere contagiati dagli operatori sanitari. “Nel nostro reparto – spiega un cardiologo – vengono mandati pazienti che apparentemente hanno un problema al cuore ma poi di scopre che sono positivi. Nel frattempo, pero’, noi non siamo stati avvisati della loro possibile positivita’ e non siamo adeguatamente protetti”.
“Tantissimi mi riferiscono – conferma Rossi – che nei reparti dove non si curano pazienti Covid non sono protetti e questo e’ un grave problema perche’ oggi sappiamo che anche gli asintomatici possono trasmettere il virus. Andarli a curare senza un minimo di protezione e’ una follia”.