Festa della donna, WWF: “Il coraggio delle donne che proteggono la natura”

Le eroine del WWF in Cina, Nepal, India, Thailandia e Malesia
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Anche se il mondo dei ranger è ancora fortemente caratterizzato dalla presenza degli uomini, come dimostra un sondaggio condotto in 28 diversi paesi, il coraggio e la competenza delle donne rappresenta sempre di più un elemento fondamentale nella difesa della natura.

In occasione dell’International Women Day, giornata che festeggia la donna e si celebra l’8 marzo, il WWF racconta le storia di alcune squadre di ranger al femminile e di eroine che in Cina, Thailandia, Nepal o Malesia combattono ogni giorno per la salvaguardia delle tigri e per proteggere la biodiversità del nostro pianeta.

Cina. La squadra guidata dalla ranger Qiu Shi è l’unico team cinese completamente al femminile e svolge un ruolo cruciale nella missione che mira a raddoppiare il numero di popolazione di tigri. In una normale giornata di febbraio nello stabilimento forestale di Dongning, situato nella provincia di Heilongjiang, le ranger partono per l’attività di pattuglia alle sei di mattina, quando ancora il loro respiro si condensa nell’aria gelida. Le donne ranger camminano per ore e ore su un terreno che non perdona, con la neve sotto i piedi, lungo una catena montuosa che si trova nel profondo nord-est della Cina. La loro missione è quella di monitorare le impronte dei grandi felini, per raccogliere e registrare i dati, rimuovere le trappole mortali e sistemare foto trappole.

“Il luogo in cui ci muoviamo confina con la regione di Primorsky in Russia e durante l’inverno, anche di giorno, la temperatura può scendere sotto i 20?. – spiega il capo della pattuglia Qiu Shi-. Qui vivono tigri e leopardi dell’Amur, che vagano tra la Cina e la Russia e noi ci troviamo in questi luoghi proprio per proteggere loro e il loro habitat. La maggior parte della squadra è composta da forestali di seconda o terza generazione: i nostri padri e i nostri nonni, infatti, hanno camminato in queste foreste prima di noi. Da bambina non riuscivo a capire per quale ragione mio padre fosse sempre via o sempre occupato e alcune delle mie compagne di squadra vivevano la stessa situazione”.

Questa squadra di donne rappresenta una nuova generazione di guardie forestali che ogni giorno proteggono la fauna selvatica, portando avanti “una missione con un significato molto profondo- aggiunge Qiu Shi-. Durante le nostre attività ci muoviamo tranquillamente nella neve, facendo molta attenzione ai segni di impronte e alle trappole, in particolare a quelle fatte con filo metallico, utilizzate per catturare la fauna selvatica, spesso ben nascoste. Nel corso degli anni i bracconieri sono diventati più furbi e anche noi impariamo continuamente, ma a volte un incidente può capitare”. In questa natura selvaggia e inesorabile, circondata da montagne scoscese e animali selvatici, anche i compiti più semplici diventano difficili: “Non molto tempo fa una delle mie colleghe è stata ferito a una gamba da un cinghiale- racconta la ranger: – Ha avuto bisogno di alcuni punti di sutura, ma fortunatamente si sta riprendendo”.

Dopo tre ore di cammino il team arriva a Tubaogou, dove si accorge che tre foto trappole a infrarossi, posizionate in cima a un ripido versante, hanno bisogno di batterie nuove e di nuove schede dati. “La neve rende ancora più impegnativa una salita che è già di per sé difficile, ma è importante non dimenticare nemmeno una sola camera trap- racconta Qiu Shi-. Dopo la fatica, però, ci fermiamo ad ammirare il bellissimo paesaggio di Tubaogou, la casa delle tigri e dei leopardi dell’Amur. Mangiamo velocemente e ci imbattiamo in una serie di impronte: sembra si tratti di un leopardo dell’Amur in cerca di cibo”. Il ritrovamento di impronte rappresenta un momento saliente della missione: le ranger raccolgono, fotografano e misurano i segnali. “Quando la luce inizia a calare, rientriamo verso casa- conclude la responsabile del team-. Ci aiutiamo l’una l’altra a scendere dal pendio scivoloso, prima di raggiungere la nostra vecchia auto. Trasandate e zuppe, con i piedi gelati e i visi arrossate sprofondiamo nei sedili: è stata una lunga e dura giornata, ma siamo tutte felici e continuiamo a sorridere”.

Thailandia. “Sono diventata un ranger perché chi ricopre questo ruolo ha il diritto di fare da solo le proprie scelte e soprattutto perché amo la natura”. Woraya Makal, detta Kwan, è l’unica donna in un gruppo di oltre cento ranger a Kui Buri, uno dei parchi nazionali all’interno di una rete di aree protette in Thailandia, famoso per la presenza di tigri selvatiche. È una donna dolce e gentile, ma non usa mezzi termini e ha le idee molto chiare. Kwan ha trascorso quasi 10 anni nell’attività di protezione della fauna selvatica e nel pattugliamento dei parchi nazionali. In Thailandia, donne come Kwan sono ancora una rarità, ma né questo, né le voci secondo cui le donne non sono adatte allo stile di vita dei ranger – che prevede lunghe ore di lavoro in condizioni spartane e spesso pericolose, lontano dai propri cari – le hanno impedito di seguire le sue passioni e lavorare al meglio.

“Qualsiasi lavoro che riesce a fare un uomo, può farlo anche una donna. E a volte ci riesce anche meglio”, racconta Kwan. Come i suoi colleghi, esce di pattuglia per 15 giorni al mese, spesso in compagnia del personale WWF e armata di macchina fotografica digitale (oggetto da cui si separa raramente), documenta i movimenti della fauna selvatica in tutto il parco e cerca le trappole lasciate dai bracconieri.

Alla fine di ogni giornata, Kwan invia le foto che ha scattato tramite un’app ai suoi supervisori, che la registrano nel sistema di pattugliamento SMART, un software che consente una migliore pianificazione delle attività di conservazione, promosso dal WWF. Nel corso degli anni, Kui Buri è diventato uno dei luoghi migliori in Thailandia per avvistare elefanti asiatici e i potenti gaur (un grande bovino selvatico). La fauna selvatica di Kui Buri attira visitatori da tutto il mondo, e per questo uno dei compiti della giovane ranger è quello di osservare le persone che ammirano gli animali e condividere informazioni con le guide del parco per indicare e sapere dove si trova la fauna selvatica. Fra le sue attività anche quella di migliorare l’habitat, che prevede la rimozione delle erbacce dai campi aperti del parco e il reimpianto della vegetazione autoctona e far in modo che gli elefanti abbiano cibo a sufficienza all’interno del parco e non si spostino nelle piantagioni vicine.

Un’indagine del 2016 condotta dal WWF in 11 paesi asiatici, tra cui la Thailandia, ha rilevato che il 45% dei 530 ranger intervistati vedono i proprio familiari meno di cinque giorni al mese. Anche Kwan va a trovare i suoi figli al massimo due volte ogni 30 giorni: una scelta difficile, ma che ritiene necessaria per poter pagare la loro istruzione. Per la sua decisione di svolgere una professione che la separa diverso tempo dai suoi due figli, Kwan si trova spesso ad affrontare numerose critiche. Ma queste non la condizionano in nessun modo: “Se perdessi tempo a preoccuparmi di quello che pensano gli altri, non ne avrei per occuparmi dei miei figli- racconta Kwan-. Tutto l’impegno che metto nel mio lavoro è soprattutto per loro”.

L’amore per la sua famiglia, per il parco e la fauna selvatica che lo abita, guida Kwan e i ranger come lei, che con coraggio sono in prima linea per la conservazione.

India. Fra le eroine nella tutela della biodiversità c’è anche la biologa Prajakta Hushangabadkar, che lavora insieme al WWF India.

“Se ho scelto questo lavoro lo devo soprattutto a mio padre, che fin da piccola mi portava nel centro di recupero animali selvatici di Amravati, dove ho visto cervi, leopardi tanti altri animali- racconta Prajakta-. Le prospettive di un futuro in cui si teme di perdere sempre più natura mi spinge a lavorare indefessamente per la conservazione della fauna selvatica, in particolare delle tigri. Questo grande felino è una delle specie fondamentali per i vari ecosistemi, come montagne, praterie, foreste pluviali, giungle, mangrovie e molte altre”.

Malesia. Umi è leader di una comunità, che da più di dieci anni vive insieme ai gruppi di indigeni Orang Asli nel territorio delle tigri, all’interno del parco nazionale Belum-Temengor. Il WWF in Melesia lavora a stretto contatto con le comunità dell’Orang Asli, anche nell’ambito di istruzione e protezione. La comunità indigena oggi collabora con Umi nella protezione del territorio, eliminando le trappole e sventando i tentativi di bracconaggio, ma i primi anni lì non sono stati per facili per Umi.

“Quando sono arrivata qui ero una giovane ranger appena uscita dall’università, con pochissime conoscenze in materia di conservazione e mi sono trovata davanti a una serie di ostacoli” racconta Umi. Nonostante questo ho usato le esperienze negative come motivazione per sviluppare la fiducia in me stessa, e ho imparato ad essere più paziente. Ogni comunità è diversa e ha i suoi valori: la lezione più importante che ho imparato è stata quella di costruire relazioni e promuovere una maggiore comprensione”.

Nepal. Maya Yogi è stata sfidata e persino minacciata quando ha lottato per il progetto per rimboschire l’area di Khata, un importante habitat al confine tra Nepal e India; solo dopo molti anni la gente ha iniziato a sostenerla.

“Le battaglie per la conservazione devono essere spiegate alle persone- afferma Maya Yogi-. Solo allora riusciranno a capire. Se avessi detto alle comunità che le foreste erano necessarie per le tigri e gli elefanti, la mia idea non sarebbe stata affatto accolta. Ma quando ho fatto notare che le foreste erano necessarie per la sopravvivenza e il futuro delle comunità stesse, per dare benefici se gestite in modo sostenibile e trasmesse da una generazione all’altra, la comunità ha cominciato a comprendere il valore dei nostri sforzi”.

 

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