Coronavirus, il medico dello Spallanzani: “Dalla scienza posizioni non sempre omogenee, il sistema sanitario fortemente depotenziato negli anni. Arrivare a modello unico per la validazione dei test”

"La scienza in questa emergenza si è evoluta con grande rapidità, con grande attenzione e con posizioni non sempre omogenee"
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La scienza in questa emergenza coronavirus si è evoluta con grande rapidità, con grande attenzione e con posizioni non sempre omogenee”. Lo ha detto il direttore scientifico dell‘Istituto per le malattie infettive Spallanzani di Roma, Giuseppe Ippolito, intervenendo a ‘Mezz’ora in più’ su Raitre. Ippolito ha però riconosciuto che “la conoscenza è aumentata moltissimo in questo periodo, sono stati fatti grandi passi avanti, si è arrivati ad avere avanzamenti in termini di patogenesi, di conoscenza, sono stati messi a punto sistemi di monitoraggio, test diagnostici, anche se non è andata così bene con i farmaci, perché molte situazioni che sembravano risolutive non lo sono, ma ciò è servito a a creare un nuovo modello per valutare i farmaci e essere più rapidi nelle valutazioni e autorizzazioni da parte dell’Aifa“.

“Il servizio sanitario nazionale negli anni è stato fortemente depotenziato per motivi economici. Depotenziare il Ssn, centrarsi su ospedali e privilegiare le eccellenze senza una rete del territorio è uno dei problemi”. “Ci vuole un modello di sanità centralistica e condivisa per gestire le malattie infettive. Senza un modello di questo genere non se ne verrà fuori”.

Foto di Andrew Theodorakis / Getty Images

Nessun paese sta pensando a test di massa, quello che si sta pensando è fare campioni di popolazione per dare delle indicazioni e soprattutto capire come si possono valutare le persone per farle rientrare al lavoro. Il comitato tecnico scientifico presso la Protezione civile sta lavorando a un modello che andrà condiviso dalle autorità politiche“. L’esperto aggiunge che “i test di massa comportano alcune criticità, i test non sono tutti uguali, quelli che rilevano gli anticorpi indicano che una persona è venuta a contatto con il virus, ha fatto la malattia ed è verosimile che abbia una copertura contro il virus. Verosimilmente – spiega – la capacità di questi anticorpi di uccidere il virus è forse l’unico modo per capire. Noi come altri Paesi – aggiunge – stiamo tutti disegnando modelli per quantificare quante persone si sono infettate, quello ci darà la misura del livello di infezione della popolazione. Sarà 5 o 10 volte più dei dati che abbiamo, questo non lo sappiamo”.

Noi dobbiamo avere un modello Paese, che non siano ‘patenti’ ma che siano l’identificazione chiara di chi ha anticorpi neutralizzanti, quindi potenzialmente protettivi” contro il Covid-19 “e chi non li ha. Questo sarà essenziale anche per decidere come riaprire“, ha aggiunto. Ippolito ha ribadito che “bisogna arrivare a un unico modello nazionale per validare i test. Credo – ha sottolineato – che il Comitato tecnico scientifico che ha avviato un processo di valutazione, non senza qualche sbavatura come hanno denunciato alcune regioni, possa già nei prossimi giorni riportare questo a un modello di valutazione più adeguata che tenga conto anche di quello che fanno i gruppi che si occupano di validare i test“.

Foto di Emanuele Cremaschi / Getty Images

In queste ultime ore abbiamo registrato per la prima volta un calo nel numero dei pazienti in terapia intensiva e dei decessi. “Sono buone notizie ma dobbiamo pensare che questi sono numeri relativi a persone che si sono infettate nelle precedenti due settimane. Quello che bisogna fare è mantenere questo trend”, dice Ippolito, che invita a non cantare vittoria troppo presto, e soprattutto ad abbassare la guardia. “Quello che abbiamo ottenuto finora va continuato, i medici hanno fatto un buon lavoro, hanno messo la loro faccia e i rischi quotidiani – sottolinea Ippolito – ma non dobbiamo pensare che se per due giorni scendono i casi e i ricoveri in terapia intensiva possiamo gridare ‘Tutto bene Madama la Marchesa’ e fare come ci pare”. 

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