Dal pipistrello all’uomo: l’evoluzione del nuovo coronavirus

Nel genoma del virus ci sono regioni meno “propense” alla mutazione, che potrebbero rappresentare un buon target per lo sviluppo di antivirali e vaccini. Lo studio su SARS-CoV-2 dell’IRCCS Medea, in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, appena pubblicato su Journal of Virology
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Il 31 dicembre 2019, il Centro cinese per il controllo delle malattie (China CDC) ha riportato la presenza di gravi casi di polmonite ad eziologia sconosciuta nella città di Wuhan, nella provincia cinese di Hubei. Di li a poco è stato identificato l’agente causativo in un nuovo betacoronavirus, poi denominato SARS-CoV-2. La storia della recente comparsa di questo nuovo coronavirus e della sua rapida diffusione sono ben note, da epidemia localizzata in poche regioni a pandemia con effetti devastanti.

Nel giro di poco tempo si è compresa la potenziale gravità della situazione e l’intera comunità scientifica è stata chiamata a dare il proprio contributo. Una sorta di “chiamata alle armi”, che ha avuto un’eccezionale risposta. I ricercatori Rachele Cagliani, Diego Forni e Manuela Sironi, del laboratorio di biologia computazionale dell’istituto scientifico Eugenio Medea di Bosisio Parini (Lecco) in collaborazione con il professor Mario Clerici, dell’Università degli Studi di Milano e Fondazione Don Gnocchi, hanno raccolto questa sfida. Ne è nato uno studio appena pubblicato sulla rivista Journal of Virology.

Le infezioni da coronavirus hanno solitamente un’origine animale (sono zoonosi). L’analisi del genoma virale è quindi fondamentale per aiutare a comprendere le origini e la rapida espansione di COVID-19. In particolare, lo studio dell’evoluzione del genoma di SARS-CoV-2 può mettere in luce caratteristiche genetiche che hanno permesso a questo virus di compiere il salto di specie e di infettare l’uomo, oltre a fornire importanti indicazioni per eventuali target terapeutici. Il salto di specie da pipistrelli all’uomo è un fenomeno non raro tra i coronavirus, infatti nel 2003 i pipistrelli furono indicati come i serbatoi del coronavirus della SARS (SARS-CoV) e, nel 2012, del virus della MERS (MERS-CoV).

I ricercatori si sono quindi concentrati sull’evoluzione del genoma di SARS-CoV-2 comparandolo con quello del virus più simile fino ad ora identificato, un virus che infetta i pipistrelli della specie Rhinolophus affinis e che ha una identità di sequenza del 96% con il virus umano di COVID-19.

“Abbiamo analizzato i geni dei ceppi disponibili di SARS-CoV-2 e li abbiamo confrontati con i geni corrispondenti nel virus del pipistrello”, spiegano i ricercatori: “volevamo capire come la selezione naturale abbia modellato il genoma del nuovo coronavirus umano”.

I risultati ottenuti hanno evidenziato che regioni diverse del genoma virale evolvono con una diversa velocità, in altre parole ci sono regioni genomiche che non tollerano (o tollerano poco) l’inserimento di mutazioni che possano portare ad un cambiamento nella sequenza proteica. Queste regioni rappresentano un buon target per lo sviluppo di antivirali e vaccini, appunto perché meno propense ad essere soggette a cambiamenti.

I ricercatori hanno anche dimostrato che la selezione naturale ha favorito l’insorgenza di cambiamenti in tre proteine di SARS-CoV-2 rispetto alle proteine presenti nel virus del pipistrello. La limitata pressione selettiva diretta verso SARS-CoV-2 fa supporre che il progenitore comune di questo virus e di quello del pipistrello fosse già dotato delle caratteristiche necessarie e sufficienti per infettare la nostra specie.

Tuttavia la mancanza d’informazioni riguardo l’ospite intermedio che si colloca tra il virus umano e quello del pipistrello e la poca conoscenza sia della catena di eventi che ha portato alla diffusione del virus nell’uomo sia del ruolo di alcune specifiche mutazioni nelle proteine virali, rendono questi risultati preliminari e necessari di integrazione con dati epidemiologici e biochimici.

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