Quando in Italia è scoppiata l’emergenza coronavirus, nessuno avrebbe mai pensato che la regione più colpita sarebbe stata la Lombardia, da sempre eccellenza in ambito sanitario e non solo. Tuttavia, ad oggi, la mortalità per coronavirus in Lombardia è stata ben 29 volte superiore a quella registrata in alcune regioni del Sud, come per esempio la Sicilia.
Coronavirus, il tasso di mortalità Regione per Regione: in Sicilia è 29 volte più basso rispetto alla Lombardia!
Ma qual è la causa di una così alta mortalità? Potrebbe dipendere dall’inquinamento? Sembra un’ipotesi probabile, come spiega uno studio intitolato “Comprendere l’ eterogeneità degli esiti avversi del Covid 19: il ruolo della scarsa qualità dell’aria e le decisioni del lockdown”, condotto da Leonardo Becchetti, docente dell’Università di Roma Tor Vergata, Gianluigi Conzo, anche lui di Tor Vergata, Pierluigi Conzo dell’Università di Torino e Francesco Salustri, del Centro di ricerca sull’economia della salute dell’Università di Oxford.
Innanzitutto è ormai noto che maggiore è alta e costante nel tempo l’esposizione alle polveri, maggiore è la probabilità che il sistema respiratorio sia predisposto ad una malattia più grave.
Oggi è stato aggiunto un altro importante tassello nel complesso puzzle che ricostruisce la relazione tra i livelli di inquinamento atmosferico e l’epidemia di COVID-19 (malattia del Coronavirus causata dalla SARS-CoV-2).
“Si tratta dello studio italiano più completo mai realizzato sulla relazione tra inquinamento e COVID-19. Abbiamo analizzato i dati di tutti i comuni e di tutte le province, sia in termini di decessi che di contagi giornalieri”, spiega il professor Becchetti a La Stampa.
Lo studio mette in relazione tre fattori significativi, legati alle cause di contagio di coronavirus, con il numero di decessi per Covid-19. Gli elementi tenuti in considerazione sono le misure di lockdown, il livello dell’inquinamento locale – soprattutto polveri sottili ma anche biossido di azoto – e le tipologie delle strutture produttive locali, in particolare le attività non digitalizzabili, che quindi nel periodo più acuto della crisi epidemica hanno avuto maggiori resistenze a chiudere. “Le nostre stime indicano che la differenza tra province più esposte a polveri sottili (in Lombardia) e meno esposte (in Sardegna) è di circa 1.200 casi e 600 morti in un mese, un dato che implicherebbe il raddoppio della mortalità”.
In sintesi, secondo la ricerca, il coronavirus colpisce di più dove l’aria è più inquinata, anche se gli autori tengono a precisare chiaramente che non si può stabilire un nesso di causalità; si parla di rilevanza statistica che comunque suggerisce una forte correlazione tra inquinamento e contagi/mortalità. “Esistono centinaia di studi medico- scientifici che in passato hanno sottolineato come le polveri riducono l’efficienza dei polmoni aumentando i rischi e peggiorando gli esiti delle malattie polmonari, cardiovascolari e dei tumori. Il COVID-19 è una malattia respiratoria e polmonare e il nostro studio trova un’associazione statistica molto significativa tra inquinamento, contagi e gravità degli esiti del COVID-19” commenta Becchetti.
E adesso che le misure di lockdown si avviano a conclusione, chiedono i colleghi de La Stampa, cosa possiamo fare?”Non si tratta di optare per la decrescita, ma per una ripresa resiliente e sostenibile, intervenendo su settori come l’economia circolare, la mobilità sostenibile, l’efficientamento energetico, la digitalizzazione e la dematerializzazione”. Con la decarbonizzazione dell’industria, del sistema energetico, della mobilità e dell’edilizia potremmo incidere sul 90% dell’inquinamento. “Per questo bisogna sostenere gli investimenti verdi, con una strategia che punti contemporaneamente sulla creazione di valore economico e sul lavoro, ma anche sulla salute e sull’ambiente”, conclude Becchetti.