“Ho paura si perda facilmente il controllo” e, che dire alle persone ‘potete andare dai nonni’, significhi “trovarsi con 30 milioni di persone sulle strade“. E’ il timore che l’epidemiologo computazionale Alessandro Vespignani ha espresso all’ANSA. “L’effetto che si rischia di avere è un nuovo lockdown che sarebbe economicamente e psicologicamente devastante“, ha aggiunto, riferendosi non solo all’Italia.
Per Vespignani, prima della riapertura bisognava costruire quella che chiama “infrastruttura“, vale a dire “capacità di monitorare l’epidemia; di individuare i casi, testarli e fare il tracciamento dei loro contatti per avviare quarantene preventive; avere in ogni regione un ospedale Covid dove le persone, non solo quelle con sintomi severi, possano trascorrere la degenza senza contagiare la famiglia; avere un sistema di presa dati che permetta di osservare, non con una settimana di ritardo, quello che sta succedendo”.
Se “non abbiamo tutto questo ci stiamo muovendo in una maniera avventuriera, sperando che le cose vadano bene”. Lo studioso, che ha tenuto oggi un seminario in videoconferenza con Sissa e Ictp di Trieste, ha poi aggiunto: “Non mi risulta ci sia questa infrastruttura”, riferendosi a Italia, Usa e tanti paesi europei. Continuando con una gestione che ha definito “emergenziale, come se si trattasse di un terremoto”, si rischia di essere costretti ad aprire e chiudere più volte. Per Vespignani è “ineccepibile e molto accurato” lo studio dell’Unità di crisi in Italia su cui ci si p basati per la riapertura del 4 maggio, ma ” la gente ha capito che si può tornare a vivere in massa. Bisogna invece vivere in punta di piedi”.
“Siamo sicuri che siamo preparati?”. E’ l’interrogativo che gli epidemiologi ripetono come un mantra e che li ha trasformati in “rompiscatole“. “Lo sto dicendo in Italia e a vari governatori degli Stati Uniti, ma anche ad altri paesi europei, a fondazioni che si occupano di questo settore e all’Organizzazione mondiale della sanità. Tutti noi epidemiologi stiamo dicendo la stessa cosa”.
“Alcuni Paesi hanno agito bene per combattere la pandemia: la Germania, l’Ungheria benché in modo strano, alcune regioni dell’India. A muoversi meglio sono stati la Cina – ha proseguitoVespignani – la Corea del Sud, Hong Kong, Singapore. Se parliamo di Spagna, Francia, Inghilterra e Stati Uniti siamo in una posizione un po’ confusa”.
“I Paesi scandinavi hanno deciso un altro approccio rispetto al resto del mondo: al di sopra di una certa età, over 65, non vai in terapia intensiva. In Italia e nei Paesi latini questa idea che tutti i nostri suoceri, genitori, nonni e parenti sono in qualche modo sacrificabili, è inaccettabile”. In pratica, muoia chi deve morire “e facciamo l’immunità di gregge. E’ un approccio che sarebbe molto impopolare altrove. E’ un atteggiamento che come ‘public health’ onestamente è… un po’ curiosa. Comunque le loro terapie intensive sono completamente piene“, ha concluso.