“Continua la grande ritirata di Sars-CoV-2 dall’Italia”. Parola del virologo Guido Silvestri, docente alla Emory University di Atlanta (Usa), che commenta sui social gli ultimi dati della Protezione civile. Calano “i ricoveri in terapia intensiva per Covid-19 (ieri calo di altre 116 unità, da 1694 a 1578), ma calano anche i ricoveri ospedalieri (scesi di altre 580 unità, da 18.149 a 17.569) e ieri si è anche abbassato il numero dei decessi per Covid-19 (285 unità). Quindi barra a dritta e avanti tutta verso la fine del tunnel“, spiega Silvestri.
In merito alla riapertura Silvestri spiega: “Come ho scritto ieri, guardando la regolarità con cui i numeri di COVID-19 in Italia continuino a scendere, è forte la tentazione di dire: “Lasciamo che il virus sparisca senza cambiare la formula vincente”. Ma mi rendo conto che la sofferenza economica e socio-sanitaria legata al lock-down ormai sta superando quella causata dal virus.
Cosa fare allora? Come sapete, io non faccio parte di alcun comitato consultivo ufficiale in Italia. Ed è giusto così perché il premier Conte ed il ministro Speranza sono circondati di ottimi consiglieri tecnico-scientifici, mentre i miei ruoli istituzionali sono negli USA e non in Italia.
Ma se ipoteticamente qualcuno che comanda mi chiedesse un opinione, gli direi che la nostra ricetta si basa su tre semplici principi: MONITORAGGIO (sia delle infezioni che del livello di immunità, con test sierologici e virologici, ed anche con “contact tracing”), FLESSIBILITA’ (sia nel riaprire che, se necessario, nel richiudere, anche a livello loco-regionale), e COORDINAZIONE (a livello nazionale, tra regioni, ma anche internazionale, integrandosi con le strategie usate in Europa, USA, Cina etc). Ed almeno nelle prime settimane di apertura, con il virus che ancora circola, sarà cruciale usare molte mascherine, buon distanziamento sociale e tanta igiene personale.
Presto, cari amici, torneremo tutti alla normalità, ne sono convinto. Ma dobbiamo gestirla bene questa transizione, non alla carlona, perché il rischio di andare a sbattere contro un altro muro non è per niente piccolo.”
Il virologo Guido Silvestri puntualizza anche quanto sia importante un corretto utilizzo dei mezzi di comunicazione per evitare la diffusione del panico e di come il linguaggio mediatico possa fare la differenza. “Il premio per oggi va a un lancio ANSA, ripreso da Repubblica e non solo, col titolo: “Pazienti guariti dal Covid si ammalano di nuovo: 9 casi tra Lodi e Cremona”. L’articolo ignora bellamente TUTTE le importanti considerazioni scientifiche fatte su questa pagina a proposito delle differenze concettuali tra “reinfezione” e “guarigione virologica ritardata” (su cui è intervenuto, ricordate?, anche Jean-Francois Delfraissy, il consigliere speciale di Macron per COVID-19).
La fonte di questa “notizia” che sconvolgerebbe tutto quello che sappiamo finora della virologia ed immunologia dei virus respiratori? Cito dall’articolo: “Da quanto si è saputo da fonti sanitarie, i casi di persone che sono ritornate di nuovo positive – al momento se ne conoscono nove nelle Asst di Lodi e Cremona”.
In altre parole, lo ha detto il cugino del dottor Rossi… o la zia un po’ sorda dell’infermiere Brambilla che ha captato pezzi di conversazione alla mensa. Ma, santo cielo, è questo il modo di fare informazione su un tema così importante? Come si fa a non rendersi conto che il sensazionalismo gratuito è nocivo ad una popolazione provata da settimane di lockdown. Sarebbe scoraggiante… ma noi non ci scoraggiamo, vero?, e continueremo a segnalare questo pessimo modo di fare informazione.”
Inoltre l’aumento delle temperature dovrebbe essere un valido aiuto nella lotta per contrastarlo, e Silvestri spiega perché, smentendo molti luoghi comuni. “Ancora sul virus a cui “piace freddo”. Scrive un lettore, con l’ironia un po’ arrogante di chi conosce abbastanza un argomento da pensare di aver ragione, ma non abbastanza da rendersi conto che sta dicendo una sciocchezza: “Questo virus opera dentro il corpo umano che è di media 37° e non si fa nessun problema quando subentra la febbre che la porta a valori più alti (altrimenti guariremmo semplicemente di febbre), sarà anche vero che non sopporta i 60° (per dire un numero) peccato che noi a 60° stiamo ben peggio di lui.”
Allora ripeto per l’ennesima volta. Quando si dice “a questo virus non piace il caldo” non ci riferisce alla temperatura a cui il virus stesso viene disattivato dal calore, ma alle temperature che rendono instabili le goccioline di fomiti (saliva, starnuti, tosse etc) che trasportano il virus nell’ambiente. Questo meccanismo è noto ai virologi da decenni, e spiega perché tutte le infezioni virali respiratorie sono altamente stagionali con chiarissima predilezione per l’inverno. Onestamente pensavo che fosse un concetto ovvio, di quelli che ogni studenti principiante di microbiologia impara nel primo mese di lezione, ma vedo che è bene spiegarlo di nuovo.”
In merito alla terapia con il plasma dei guariti l’esperto spiega che: “A grande richiesta, scrivo un commento sulla terapia dei casi severi di COVID-19 con plasma di soggetti convalescente.
Specifichiamo subito che si tratta di un concetto terapeutico noto da anni, e che noi alla Emory abbiamo usato già nel 2015 in pazienti con Ebola (Kraft C et al., The Use of TKM-100802 and Convalescent Plasma in 2 Patients With Ebola Virus Disease in the United States. Clin Infect Dis. 2015; 61:496-502 – il primo autore di questo lavoro, la Prof.ssa Colleen Kraft è una carissima amica, oltre che membro del dipartimento che io dirigo).
Anche nel caso di COVID-19 il concetto non è affatto nuovo, in quanto è stato testato in vari studi effettuati durante la prima fase della pandemia in Cina (Chen et al. Lancet Inf Dis 2020; Shen et al., JAMA 2020; Duan et al., PNAS 2020; Ye M et al., J Med Virol 2020; Zeng QL et al, J Infect Dis). Si veda sul tema anche il commentario scritto da due dei miei Vice-Direttori di Dipartimento, John Roback e Jeannette Guarner (JAMA, 27 marzo). In America il trattamento è approvato dalla FDA nel marzo 2020, e ad oggi negli USA sono stati trattati 4.400 pazienti con plasma donato da 8.475 convalescenti. [Come noto, il trattamento è in uso anche in alcuni ospedali lombardi.]
Sui risultati, in sintesi rapidissima, e considerando che non esistono studi controllati, l’impressione preliminare è che si tratti di un approccio molto promettente (con l’eccezione di Zeng QL et al. J Infect Dis 2020). Tra i vantaggi, oltre al precedente di Ebola ed al razionale fisio-patologico, citerei l’entusiasmo dei donatori (noi ne abbiamo davvero tantissimi, anche se non tutti hanno un titolo alto di anticorpi anti-SARS-CoV-2), il basso costo, e la minima tossicità. Lo svantaggio principale, non insormontabile, è la virtuale impossibilità di standardizzare vista la variabilità da donatore a donatore.
Mi è stato segnalato che sulla terapia con plasma convalescente si sta creando in Italia il solito clima da stadio (che sorpresa eh?), a base di tifosi pro e contro, colleghi focosi che si azzuffano sui social, giornalisti che soffiano sul fuoco – tutte cose che il sottoscritto ama come una colica ureterale. La mia CONTRO-PROPOSTA, per chi fosse interessato ai fatti (e non alle beciaccolate da pollaio), è di leggere questo position paper: Bloch EM et al., Deployment of convalescent plasma for the prevention and treatment of COVID-19. J Clin Invest 2020 (allegato come pdf al primo commento qui sotto), che viene da centri clinici del calibro di Johns Hopkins, Mayo Clinic, Stanford, WUSTL, Columbia, NY Blood Center, Michigan State, Albert Einstein e Brown.”
“Domani – conclude Guido Silvestri – ci prendiamo un giorno di pausa, ma chi vuole potrà ascoltarmi brevemente sulla trasmissione “Che Tempo Che Fa” in compagnia e per intercessione del nostro generale Roberto Burioni, per parlare di Remdesivir, vaccini, anticorpi ed altre notizie made in USA su COVID-19. Buon fine settimana a tutti ed arrivederci a lunedì 4 maggio — festa di San PAOLINO & San CIRIACO, protettori di tutti i s’negajes e ancuneta”