Coronavirus e smog. Diversi studi confermano che ci sia più di una correlazione tra inquinamento e rischi legati al virus. “Nel caso della Covid-19 va riservata una particolare attenzione all’intervento del Pm 2.5. Quest’ultimo, infatti, con effetto mediato dal sistema recettoriale Ace2, diversamente espresso da soggetto a soggetto, può giustificare in alcune aree piuttosto che in altre l’alta incidenza e l’elevato tasso di mortalità da nuovo coronavirus correlandolo all’ambiente”. A fare il punto sul legame tra smog e Covid-19 è Mauro Minelli, immunologo e responsabile per il centro sud della Fondazione italiana medicina personalizzata.
Secondo l’immunologo la popolazione dell’Italia settentrionale “è cronicamente esposta ad alti livelli di agenti inquinanti diversi che possono essere elemento primario di criticità, perché in grado di favorire un’azione infiammatoria a carico del tessuto polmonare, nel caso della Covid-19 va riservata dunque una particolare attenzione all’intervento del Pm 2.5″.
“Un approccio scientifico basato sulle evidenze ci aiuterebbe a capire il differente rapporto di incidenza del contagio fra le regioni del Nord e quelle del centro-sud del Paese, al di là delle politiche di lockdown – osserva Minelli – Sarebbe un errore grossolano, infatti, correlare genericamente la diffusione della Covid-19 all’inquinamento. Quasi che, a cavallo dell’inquinante (quale che sia), il nuovo coronavirus entri prepotentemente nei polmoni facendoli ammalare”.
“Fin dalle prime evidenze, via via scaturite a partire dallo scorso mese di marzo – continua l’immunologo – abbiamo incentrato le nostre attenzioni sul Pm 2.5 un particolare miscuglio di sostanze molto piccole, del diametro inferiore ai 2,5 micron, circa 35 volte più piccole di un granello di sabbia, derivanti dalla combustione di carburanti per autoveicoli, ma anche da centrali elettriche, dalla combustine di materiale a seguito di incendi, dal fumo di tabacco”.
“E lo abbiamo fatto – conclude Minelli- partendo dal lavoro di alcuni ricercatori cinesi che già nel 2018 avevano dimostrato un preciso nesso di causalità tra esposizione prolungata al Pm 2.5 e gravi lesioni infiammatorie a carico dei polmoni, per il tramite di una proteina chiamata Ace-2 (enzima di conversione dell’angiotensina II), che poi si è visto essere il recettore-chiave grazie al quale il nuovo coronavirus riesce ad entrare nelle cellule dell’ospite innescando la malattia”. Secondo l’esperto proprio il Pm 2.5 è l’elemento a cui riservare particolare attenzione.