Paolo Mieli, ex direttore del Corriere della Sera, si è espresso in più occasioni in modo dubbioso sui vaccini anti-Covid per i giovani. “Io farei subito il vaccino, però se fossi più giovane, e dovessi fare figli, sarei più cauto. Se fossi in età di far figli, per prudenza, aspetterei che lo facessero le persone più anziane”, aveva risposto un anno fa, il 20 novembre 2020, alla domanda di Lily Gruber nel programma Otto e mezzo su La 7, lanciando il sospetto che i nuovi vaccini potessero causare sterilità. Allora, i vaccini erano ancora in fase di preparazione.
Sempre su La 7, il 14 luglio di quest’anno, Mieli confermava le sue posizioni: “sì al Green Pass, ma bisogna essere civili e rispettare chi ha dubbi”. Mieli, ospite di In Onda, si diceva favorevole a un certificato, virtuale o cartaceo, per potersi muovere senza limiti: “serve un diagramma, un certificato che testimoni che una persona abbia gli anticorpi. Questa è la cosa importante. E non metterei mai sullo stesso piano gli anticorpi con un tampone”.
“È ovvio che quella (il Green Pass, ndr) è una scusa per costringere la gente a vaccinarsi. Dire che non si può fare vita sociale, non si può andare nei ristoranti o sui mezzi di trasporto è un incentivo a vaccinarsi. Una persuasione nemmeno troppo occulta”, aggiungeva. “La parola obbligo contiene la conseguenza delle sanzioni. Che tipo di sanzioni si dà a chi non si vaccina? Un conto è dire che non si può fare vita sociale, ma bisogna anche essere civili e capire che possono esserci obiezioni legittime per se stessi o i propri figli senza nuocere alla comunità. Ci può essere qualcuno che ha dubbi dopo il caos AstraZeneca e Reithera che non si è capito perché non sia stato approvato. Una persona legge i giornali, pensa che sui vaccini non tutto sia chiaro e dice: rimango chiuso a casa mia, non vado in giro però consentitemi di essere prudente, questo deve essere legittimo, ci vuole misura tra diritti e doveri”, aveva affermato.