La variante Omicron del SARS-CoV-2 sta spaventando il mondo con nuove restrizioni, chiusure di frontiere e grandi eventi annullati in tutti i Continenti, da Cina e Giappone al Carnevale di Rio de Janeiro. Ma la situazione è davvero così grave da giustificare tutto questo allarme, oppure si tratta di “isteria pilotata dai media” come ha dichiarato il Governatore della Florida Ron DeSantis? DeSantis, originario di Avellino, ha deciso che in Florida non ci saranno più lockdown e restrizioni “perché quello che abbiamo fatto l’anno scorso ci ha già dimostrato che non servono a limitare il virus e sarebbe pazzo ripetere le stesse azioni nella speranza che abbiano un risultato diverso“.
Della variante Omicron, in realtà, sappiamo ancora poco. E’ noto che ha 32 mutazioni sulla proteina Spike ( il doppio rispetto alla variante Delta e il triplo rispetto alla Alfa), che è stata individuata in Botswana e in Sudafrica ma non è chiaro dove sia nata in quanto è già diffusa in tutto il mondo. Oggi l’Ecdc, Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, ha comunicato che nel territorio dell’Unione Europea sono stati rilevati ufficialmente 167 casi di variante Omicron, in 17 Stati. Di questi, ben 34 sono in Portogallo, che è il Paese con il più alto numero di vaccinati al mondo pari all’88% dell’intera popolazione (compresi bambini), e cioè al 97% dei maggiorenni. Ma il Portogallo ha forti legami con le ex colonie Angola e Mozambico, da dove sono arrivati i nuovi casi di Omicron. In Italia, invece, al momento i casi noti sono 9, tutti tra Campania, Veneto e Alto Adige, e tutti legati a persone provenienti dal Sudafrica.
Nelle ultime 24 ore i casi di contagio da variante Omicron sono più che raddoppiati nel Regno Unito, con 75 nuove infezioni rilevate in Inghilterra, 16 in Scozia e la prima in Galles. Al momento – invece – non risultano casi confermati della nuova variante in Irlanda del Nord. Secondo l’Agenzia per la sicurezza sanitaria del Regno Unito, diversi casi non presentano collegamenti con viaggi, quindi esiste “una limitata dinamica di trasmissione comunitaria“.
Tutti i casi di contagio da variante Omicron per cui sono disponibili indicazioni sull’intensità dei sintomi sono asintomatici o lievi. Finora non è stato registrato alcun morto tra i positivi alla variante Omicron, anche se il numero dei casi è troppo basso per capire se lo spettro dei sintomi provocati dalla variante differisca o meno da quello delle precedenti versioni del Sars-CoV-2.
Seppur con tutte le cautele del caso, quindi, è probabile che la variante Omicron sia una mutazione favorevole del virus, che con il passare del tempo si sta sempre più adattando a convivere con il proprio “ospitante” (il corpo umano) senza ucciderlo, come tutti gli altri virus respiratori delle precedenti pandemie. Sarebbe un percorso fisiologico per il virus, e la prima conferma è arrivata da uno studio USA citato oggi da Matteo Bassetti che ha spiegato come “dopo poco più di una settimana da quando è diventata famosa in tutto il mondo, grazie a ricercatori del Massachusetts sappiamo qualcosa in più sulla variante Omicron. La nuova variante che ha terrorizzato forse ingiustamente il mondo, ha acquisito un ‘pezzetto’ del virus del raffreddore comune. Ecco spiegato perché darebbe quadri clinici più lievi, rispetto alla Delta, molto simili al raffreddore. Omicron grazie a questa aggiunta di materiale genetico del virus del raffreddore è più ‘umana’ e meno animale rispetto al SarsCoV2 iniziale. Per questo sfugge più facilmente al nostro sistema immunitario che non la riconosce come totalmente estranea – aggiunge -. Si tratta di una ricerca molto interessante che, se confermata, dimostrerebbe per la prima volta che il virus del Covid si sta spontaneamente indebolendo perdendo la sua forza iniziale di causare malattie gravi. A questo punto c’è quasi da sperare che la Omicron soppianti la Delta e le altre precedenti varianti. Sarà anche forse più contagiosa, ma se assomiglia così tanto al raffreddore…” .
A questo punto dobbiamo aspettare ancora ulteriori studi e ulteriori dati: se davvero la variante Omicron è più leggera in termini clinici, ma più contagiosa della Delta, potremmo davvero trovarci al punto di svolta finale della pandemia. Qualora infatti soppiantasse le precedenti mutazioni diventando dominante, il contagio non sarebbe più un problema perché non provocherebbe un numero così alto e problematico di ricoveri e decessi. Ci ritroveremmo di fronte ad un nuovo normale virus influenzale con cui potremmo vivere senza alcuna grave conseguenza.
Le indicazioni, in tal senso, sono molto incoraggianti: il numero di casi di variante Omicron è quadruplicato nei tre giorni scorsi in SudAfrica, dove i contagi giornalieri sono passati da 4 a 16 mila con una velocità senza precedenti in tutti i Paesi del mondo dall’inizio della pandemia:
- 29 novembre: 2.273 nuovi casi giornalieri
- 30 novembre: 4.373 nuovi casi giornalieri
- 1 dicembre: 8.561 nuovi casi giornalieri
- 2 dicembre: 11.535 nuovi casi giornalieri
- 3 dicembre: 16.055 nuovi casi giornalieri
Intanto saranno necessarie due settimane per capire se la variante Omicron è resistente ai vaccini. Dopo i risultati dei test, le aziende produttrici dei vaccini potranno decidere se aggiornare o meno i sieri. I test, che sono già in corso in molti laboratori del mondo, si basano sull’analisi degli anticorpi presenti nei soggetti vaccinati e sull’analisi del comportamento dei linfociti T, ossia delle cellule immunitarie legate alla cosiddetta memoria indotta. “Si tratta di due tipi di esperimenti che, in modo diverso, permetteranno di capire la tenuta dei vaccini attuali“, rileva il virologo Francesco Broccolo, dell’Università di Milano Bicocca. Al primo gruppo appartengono i “test di sieroneutralizzazione“, che utilizzano sieri ottenuti da soggetti vaccinati e permettono di vedere come gli anticorpi siano o meno in grado di neutralizzare il virus Omicron. “A questo scopo – osserva – si può utilizzare la variante Omicron tal quale del virus SarsCoV2, ma questa è una strada rischiosa poiché richiede l’isolamento della stessa su colture cellulari con produzione di stock virali di variante Omicron, oppure si possono utilizzare pseudovirus, ossia virus modificati inerti, inserendo tutte le 35 mutazioni della variante Omicron“. Mettendo a contatto il virus con gli anticorpi contenuti nei sieri dei soggetti vaccinati a diverso titolo è possibile osservare se la variante riesce o meno a sfuggire agli anticorpi neutralizzanti indotti dal vaccino. Il secondo banco di prova è un test di citofluorimetria per verificare l’efficienza della memoria dei linfociti T, ossia l’immunità cellulo-mediata: “potrebbe essere più plastica e proteggere dalla variante Omicron. In questo caso si va a vedere se, a contatto con l’antigene Spike della nuova variante, i linfociti T memoria sono ancora in grado di riconoscerla nonostante le diversità presenti tra la proteina Spike della Omicron e quella del vaccino, misurando la produzione specifica di interferone a seguito della stimolazione antigenica“, spiega il virologo. La tecnica che permette di controllare se questo avviene e in che misura si chiama Elispot (dall’inglese Enzyme-Linked immunoSPOT): “E’ un approccio molto usato per misurare la risposta della memoria cellulare“, osserva. “Entrambi questi tipi di esperimenti richiedono un tempo di circa due settimane“, aggiunge. Sarebbe interessante, inoltre, misurare la risposta dei linfociti T dei pazienti che hanno avuto la malattia per valutare la protezione cellula-mediata in soggetti che hanno avuto il Covid. Dal punto di vista epidemiologico, intanto, si potrebbe verificare la percentuale di infezioni da variante Omicron rispetto alla Delta nelle persone vaccinate. Molto probabilmente, rileva Broccolo, “per avere la risposta non dovrebbe essere necessario il sequenziamento per tutti: considerando che Delta è di gran lunga la più diffusa, i tamponi molecolari multitarget permettono già di individuare un sospetto caso da variante Omicron“. Quest’ultima ha infatti una caratteristica che i test possono riconoscere in quanto è presente solo nella variante Alfa, ora praticamente scomparsa: si tratta delle delezione 69-70. “Se i test individuassero questa delezione, allora – conclude l’esperto – si potrebbe cercare la conferma nel sequenziamento“.
Ma intanto gli occhi sono puntati più su sintomi e letalità dei casi Omicron: qualora fosse confermato che il virus si è addolcito, l’eventuale capacità di “bucare” i vaccini non sarebbe più un problema. E Omicron, anziché rappresentare una sorta di “nuovo” virus che spaventa il mondo, diventerebbe la fine della pandemia (e delle vaccinazioni di massa). Sarebbe la “normalizzazione” del SARS-CoV-2 in un normale virus influenzale che potrebbe liberamente circolare nella popolazione senza fare danni e quindi senza richiedere alcun tipo di precauzione. Affinché ciò avvenga, però, servono ulteriori conferme tecniche e poi bisognerà fare il tifo per Omicron affinché prenda il sopravvento sulle precedenti varianti attualmente dominanti (Delta su tutte) portando l’umanità fuori da questo incubo chiamato pandemia.