“Ho avuto modo di riscontrare, sia in sede di task force che successivamente, una assoluta disorganizzazione, la mancanza di una chiara catena di comando, scarso controllo del territorio, informazioni frammentarie (non so dire se perché non portate a mia conoscenza o perché effettivamente assenti), assenza di dati retrospettivi di confronto”. Lo ha detto ai pm di Bergamo l’ex sottosegretario Pierpaolo Sileri l’8 febbraio del 2021, per fornire chiarimenti dopo la sua nomina.
Sileri, nel verbale che fa seguito a un altro del 22 dicembre 2020, ha voluto segnalare ai magistrati che “a gennaio/febbraio 2020, almeno in una prima fase, non esisteva un’istituzione ufficiale della task force che si riuniva al mattino presso il Ministero della Salute, né esisteva una convocazione ufficiale o una reale resocontazione – anche sommaria – delle sedute“. Nel descrivere la situazione, ha raccontato di aver “sin da subito notato un comportamento poco professionale”, aggiungendo che “mancava in modo assoluto la programmazione e i partecipanti andavano aumentando di giorno in giorno“. Sileri ha sottolineato che “i verbali delle sedute della task force” erano “sicuramente parziali stante l’assenza di dichiarazioni mie” e del suo capo ufficio, “tra le quali i miei svariati appelli rivolti alla task force, ovvero al Segretario generale Ruocco”, tra i 19 indagati nell’indagine di Bergamo, “e al capo di gabinetto” Goffredo Zaccardi, per “procedere alle assunzioni di personale e agli acquisti di ogni dispositivo, principalmente i respiratori e la riattivazione della rete Ecmo…”.
Sileri ha aggiunto di aver “reiterato” tali appelli anche dopo il suo ritorno da Wuhan, il 2 e 3 febbraio, ma di non aver trovato una loro “traccia nei verbali”. Inoltre, ha ricordato di una sua “reprimenda contro la struttura ministeriale che“, il 6 marzo 2020 “non aveva ancora provveduto agli acquisti dei ventilatori e di ogni altro dispositivo utile alla gestione della pandemia“. Inoltre, ha parlato anche di minacce ricevute se lui e il suo capo ufficio non fossero stati “tranquilli” (sarebbero stati usati “contro di noi dei documenti” tenuti nel cassetto), di “contrasti” e relazioni tese.
Tra le altre cose, Sileri ha tenuto a precisare che Claudio D’Amario, allora direttore generale della prevenzione, “ha sostenuto che il vero piano pandemico, che era del 2016, non era stato aggiornato negli ultimi 4 anni”. Dall’inchiesta, e dalle molte testimonianze, è risultato invece essere del 2006. Il dirigente, che era ritenuto uno dei massimi esperti, in quel periodo gli aveva anche detto che “secondo lui nel caso del SARS-CoV-2, non bisognava rifarsi al piano pandemico, ma più al caso di un attacco bioterroristico, perché non ci sono organizzazioni sperimentate, non si avevano strumenti, vaccini e farmaci”.