Etna, i terremoti e l’eruzione previsti dall’esperto INGV che però è stato “rettificato”

Etna, la scorsa settimana l'esperto dell'INGV aveva previsto i terremoti del 18 maggio e l'eruzione di ieri ma poi era stato costretto a "rettificare"
MeteoWeb

Alla fine l’Etna ha eruttato, anche in modo violento, nelle ore centrali della giornata di ieri con un nuovo parossismo che ha scaricato un’enorme quantità di cenere, pietre e lapilli sulla Sicilia orientale. La nube di polvere vulcanica ha raggiunto persino Siracusa, mentre a Catania l’Aeroporto è rimasto chiuso fino a questa mattina. L’eruzione di ieri, 21 maggio, era stata preceduta da una serie di terremoti vulcanici, i più forti nella notte del 18 maggio nella zona di Acireale, di cui uno di magnitudo 3.2.

Un evento importante, quindi, che arriva dopo un lungo periodo di silenzio del vulcano etneo. E che era stato ampiamente previsto nei dettagli. Pochi giorni fa, il 15 maggio, su MeteoWeb abbiamo infatti riportato un’intervista a Salvatore Giammanco, stimato e apprezzato ricercatore dell’Osservatorio Etneo dell’INGV. Nell’intervista riportavamo le parole dell’esperto, tra cui: “Da due mesi assistiamo ad un rigonfiamento lieve del vulcano legato all’arrivo di magma nuovo. Una piccola porzione di questo magma nuovo sta risalendo e si sta facendo strada nel condotto centrale e questo potrebbe dar luogo ad una nuova probabile attività esplosiva al cratere di Sud-Est. Si immagina che si possa riattivare proprio quel cratere, non possiamo sapere quando di preciso ma siamo nell’ordine delle settimane. Attualmente ci sono le condizioni, ma non abbiamo tempi precisi. Come sempre, però, lo sapremo a qualche ora di distanza grazie ai sistemi di monitoraggio. Adesso ci si aspetta ancora terremoti, fino alla fase eruttiva”.

Due giorni dopo la pubblicazione dell’articolo, abbiamo ricevuto una richiesta di rettifica su carta intestata INGV per precisare che “palesemente è noto che i terremoti non si possono prevedere e dunque nulla si può dire sull’accadimento di futuri eventi sismici all’Etna“. Nel documento, firmato dallo stesso Giammanco, si legge che “la frase espressa dal sottoscritto riguardava, invece, il fatto che in passato è accaduto che un’attività sismica diffusa sul vulcano sia stata registrata durante fasi inter-eruttive, probabilmente associata ad aumenti di stress tettonico nell’edificio vulcanico (come peraltro espresso nello stesso articolo due paragrafi prima), ma non è affatto detto che in futuro simili comportamenti del vulcano possano ripetersi“. Inoltre, l’esperto precisava anche che “non è corretta neanche la frase secondo la quale ci si aspetta “un nuovo parossismo entro qualche settimana”, poiché l’attività dell’Etna negli scorsi anni si è esplicitata anche, per non dire soprattutto, sotto forma di tranquilla attività di degassamento o stromboliana nei crateri sommitali (non necessariamente il cratere di Sud-Est)“.

E invece Giammanco aveva ragione. I terremoti si sono verificati tre giorni dopo l’intervista, l’eruzione sei giorni dopo. Abbiamo intervistato Giammanco decine e decine di volte negli anni, abbiamo instaurato con lui un rapporto di fiducia reciproca sull’aderenza totale delle nostre pubblicazioni rispetto alle sue dichiarazioni, abbiamo avuto modo di conoscerlo anche personalmente proprio sull’Etna e di apprezzarne anche le straordinarie doti umane: una grande gentilezza ed educazione, affiancate alla straordinaria competenza e professionalità.

Conosciamo anche molto bene la società in cui viviamo, in modo particolare i dogmi invalicabili che vergognosamente mummificano gli organi istituzionali della scienza rispetto alle posizioni da prendere, alle dichiarazioni da rilasciare, ai dettagli sulle virgole da precisare. Non abbiamo alcun dubbio che la richiesta di rettifica (poi in ogni caso prontamente effettuata) non sia certo arrivata dall’esperto – che tra l’altro aveva già visionato l’articolo dopo la pubblicazione senza nulla da obiettare – ma bensì sia frutto di pressioni ricevute in tal senso. Lo afferriamo subito leggendo la smentita, in modo particolare nella frase “palesemente è noto che i terremoti non si possono prevedere“, che sembra ormai divenuto quella sorta di obbligatorio preambolo da effettuare per introdursi in una discussione e in un dibattito sul tema.

Ricordate le discussioni sul vaccino Covid-19 durante la pandemia? Gli scettici che contestavano l’utilizzo del Green Pass, la coercizione obbligatoria persino per giovani e bambini, erano sempre e comunque costretti ad introdurre le loro ragioni iniziando con la stucchevole premessa “fermo restando che il vaccino salva vite umane bla bla bla“; e oggi assistiamo allo stesso identico copione per il cambiamento climatico, dove anche qui gli scettici sull’influenza antropica devono comunque accreditarsi per solo poter partecipare al dibattito. Come se la scienza non fosse confronto tra visioni diverse, sperimentazione di nuove teorie, dibattito tra ricercatori, appunto.

Nello specifico, che i terremoti non si possono prevedere è un dogma religioso che buttato lì non significa nulla. Anzi, per molti decenni è stato solo un alibi. E’ ancora corretto dire che i terremoti non si possono prevedere con precisione, cioè non possiamo conoscere in anticipo l’esatta magnitudo e l’esatta localizzazione dell’epicentro. Siamo ancora lontani da avere anche per le previsioni sismiche un successo come per quelle meteorologiche, quelle che ad esempio ci hanno consentito di prevedere con cinque giorni di anticipo le zone esattamente colpite dall’alluvione in Romagna e di lanciare l’apposita allerta.

Però è anche falso dire così tout court che i terremoti non si possono prevedere. Sappiamo bene laddove si verificheranno i terremoti, e di quale magnitudo massima possono approssimativamente essere. Sappiamo ad esempio che tra Catania, Siracusa, Messina e Reggio Calabria si verificheranno terremoti di magnitudo superiore a 7, fino a 7.5. Non possiamo sapere quando: può succedere oggi, domani o tra dieci anni o tra cento anni. Ma già questa è una previsione, per quanto non dettagliata nella tempistica, ma è comunque una previsione prettamente scientifica. Ci sono inoltre numerose sperimentazioni empiriche di previsioni sismiche anche sulla tempistica e sui rapporti tra faglie e zone tettoniche. Su MeteoWeb ne abbiamo già parlato ampiamente in più occasioni.

Nel caso dei vulcani, poi, le previsioni sono ben più evolute. I terremoti vulcanici sono molto diversi da quelli tettonici: non dipendono dalla rottura delle faglie, ma dal movimento del magma che viene costantemente monitorato. E quindi si possono prevedere anche in modo più circostanziato, come ha fatto Giammanco nella nostra intervista in modo assolutamente scientifico.

La teoria che consiglia di non evidenziare la prevedibilità nota dei terremoti, nasce dal clamoroso equivoco secondo cui non bisognerebbe allarmare la popolazione. Ma il problema è proprio opposto: la popolazione deve essere consapevole dei rischi e deve imparare a convivere con i terremoti, non rimanere all’oscuro dei rischi e vivere con la fatalista speranza che non accada mai nulla. La prevedibilità dei terremoti può servire ad adottare le opportune misure di prevenzione, le costruzioni antisismiche, i piani di evacuazione e tutti quei processi virtuosi che possono, anzi devono, portarci a convivere con le forti scosse come accade in Cile, in Giappone, negli Stati Uniti d’America e in molti altri Paesi del mondo.

Basta, quindi, “rettificare” gli esperti. Basta mettere i paletti a studiosi e ricercatori. Basta porre limiti dogmatici alla scienza, che per definizione non ha alcun dogma. La scienza è spirito critico, confronto e discussione. La scienza non ha nulla a che vedere con la fede, che è qualcosa che appartiene alla sfera religiosa. Purché sia una scienza libera, ovviamente.

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