Migliaia di persone, forse 100.000 secondo il Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, hanno lasciato il Nord per tornare al Sud a causa dell’emergenza coronavirus, in quello che ormai è definito come un vero e proprio esodo. Si tratta di un comportamento assolutamente sbagliato e da condannare, che rischia di mettere in ginocchio tutto il Meridione.
“Non andate al Sud: con molti contagi sarebbe una rovina“. Lo ribadisce anche Giovanni Floriddia, 33 anni, infermiere del Pronto Soccorso di Cremona e referente sindacale Nursing Up per lo stesso ospedale che il coronavirus lo ha fronteggiato in questi giorni in prima linea, rimanendo anche contagiato in forma lieve. “La salute dei propri cari e’ la cosa fondamentale – dice all’ANSA l’infermiere, originario della Sicilia – per questo da operatore sanitario mai mi sarei sognato di muovermi per tornare al Sud: ho cercato di sensibilizzare quante piu’ persone che potevo perche’ non lo facessero. La sanita’ al Sud non e’ come quella del Nord. Mettiamola cosi’. Avendo un po’ di problematiche, perche’ le terapie intensive ad esempio nella mia Regione di provenienza sono poche, non voglio immaginare cosa accadrebbe con una gran quantita’ di contagiati e sintomatici. Sarebbe una catastrofe. Il sistema sanitario regionale non riuscirebbe a sostenere tutto questo”.
Ora Floriddia si trova in quarantena. “Ho contratto il Coronavirus in forma lieve, ma – prosegue -non sono preoccupato per me: la mia paura piu’ grande e’ per i miei bambini piccoli, la mia compagna e i miei colleghi, che stanno facendo turni anche di 12 ore e a cui non posso dare il cambio. E’ durissima fare turni cosi’ lunghi tutti bardati, si suda – dice ancora – e non si riesce a connettere, non ci si puo’ staccare per la mole di lavoro. A volte ci si sente come se mancasse l’aria, si ha bisogno di mettersi un po’ lontani per respirare altrimenti si impazzisce”. “Il contagio – sottolinea – e’ avvenuto presumibilmente in ambito ospedaliero, anche se non si capisce ancora come, visto che a Cremona per fortuna al momento i dispositivi individuali di protezione non sono mancati. Ma anche altri colleghi, cinque o sei, hanno contratto il virus”.
“In ospedale abbiamo visto di tutto e di piu’ in questi giorni – rileva – per questo il mio pensiero, oltre che in primo luogo alla mia compagna e ai miei bambini, per i quali ho attivato subito la pediatra e di cui si attendono i tamponi (due di loro hanno la tosse), e’ andato ai colleghi e ai pazienti. Finche’ non si tratta di un proprio caro che sta veramente male, che fa difficolta’ a respirare, ha l’affanno, e’ probabilmente difficile comprendere a pieno. Gli italiani stanno iniziando forse adesso ad avere contezza della situazione, in maniera un po’ tardiva”. “La situazione – conclude l’infermiere – e’ molto difficile anche per noi operatori sanitari, soffriamo. Eppure ci sentiamo molto responsabilizzati, anche per il fatto che per alcuni pazienti quelli possono essere gli ultimi minuti e ore di vita e probabilmente non incontreranno un loro caro”.