Uno studio del Karolinska Institutet e Karolinska University Hospital di Stoccolma “potrebbe spiegare perché nonostante le movide e la pressoché totale apertura, continuano a calare i casi in zone particolarmente colpite come le nostre. La risposta sarebbe perché la maggior parte di noi ha immunità che è difficile da rilevare. Una immunità molto maggiore di quella identificata dai test sierologici che hanno il grosso limite di una bassa sensibilità”.
Lo scrive su Facebook Matteo Bassetti, direttore della Clinica malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova e presidente della Società italiana di terapia antinfettiva (Sita). La ricerca svedese ha mostrato come molte persone malate di Covid-19 in modo lieve o asintomatico – e che in molti casi non si sono accorte di avere la malattia – hanno sviluppato l”immunità mediata da cellule T’, pur non risultando positive agli anticorpi nei test sierologici.
“Lo studio mostra che molte persone malate di Covid-19 in modo lieve o asintomatico – e che dunque non si sono, in moltissimi casi, mai rese conto di aver contratto la malattia – hanno sviluppato la cosiddetta ‘immunità mediata da cellule T’ a Sars-Cov-2, anche se non risultano positivi agli anticorpi nei test sierologici. Secondo i ricercatori, in altre parole, ciò significa che probabilmente più soggetti nella popolazione hanno sviluppato immunità al Sars-Cov-2 rispetto a quanto suggerito dai test anticorpali”, spiega.
Secondo Bassetti “questa ricerca potrebbe anche spiegare come mai alcune persone che si sono ammalate di Covid-19 non risultano positive ai test sierologici, focalizzando l’attenzione su un’altra parte della risposta del sistema immunitario alla malattia. Insomma estrapolando il messaggio del lavoro, il fatto che il virus sia molto più innocuo deriverebbe da una elevata percentuale di immuni che non permettono al virus di replicarsi”.
“I test sierologici sono stati testati su malati molto gravi, con cariche virali e rispettive risposte anticorpali elevate e pertanto la sensibilità del test (che si intende la capacità di un test di identificare correttamente il soggetto colpito dalla malattia) è circa l’80%. Probabilmente è stata sovrastimata e non di poco; pertanto i reali immuni sono molti di più”, evidenzia l’infettivologo. “Questo lavoro originale potrebbe rappresentare quindi una spiegazione ‘scientifica’ e non solo ipotetica e deduttiva dell’attuale comportamento clinico benigno della pandemia. Ovviamente se ciò sarà confermato da altri studi – conclude – la pandemia potrebbe avere meno frecce nel proprio arco. Speriamo sia così”.