Coronavirus, l’immunologo Minelli: “L’inquinamento ha effetti sui tassi d’incidenza”

"L'esposizone cronica al particolato, e non solo per i mesi dell'infezione, rende il sistema respiratorio più suscettibile all'infezione al coronavirus"
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Gli effetti dell’inquinamento possono incidere sulla contagiosità del coronavirus. “Con l’università dell’Aquila stiamo sottoponendo a revisione un nuovo lavoro scientifico che indaga questo aspetto, ovvero quanto l’impatto dell’inquinamento da particolato Pm2.5 e da biossido di azoto, con l’aggiunta anche dei valori di due fattori di rischio come l’indice di vecchiaia e la densità di popolazione di alcune, influenzi la diffusione della malattia. Dai dati preliminari possiamo dire che il modello matematico applicato al nostro studio ha dimostrato una relazione più che significativa tra le concentrazioni di Pm2.5 e il biossido d’azioto e i tassi di incidenza della malattia da coronavirus”.

Lo ha sottolineato l’immunologo Mauro Minelli, referente per il Sud Italia della Fondazione medicina personalizzata, nella diretta Facebook ‘BiomedicalReport’, la prima puntata di nuova rubrica di approfondimento scientifico lanciata da Minelli sulla propria pagina Facebook. Nelle conclusioni preliminari dello studio “un aumento della concentrazione di anche solo uno dei due inquinanti citati, Pm2.5 e diossido di azoto, anche solo di 1 microgrammo per metrocubo d’aria ha provocato un aumento dei tassi d’incidenza di malattia pari a 2,79 per 10mila persone per il Pm2.5 e per il biossido di azoto 1,24 per 10mila persone”, chiarisce Minelli, docente di Igiene generale e applicata all’UniPegaso.

Alla diretta Facebook ‘BiomedicalReport’ ha partecipato anche Anna Giammanco, ordinario di Microbiologia della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università degli studi di Palermo.

L’esposizone cronica al particolato, e non solo per i mesi dell’infezione, rende il sistema respiratorio più suscettibile all’infezione al coronavirus. Ovvero, più lunga è stata l’esposizione al Pm2.5 maggiore è la probabilità che l’apparato respiratorio sia predisposto a una malattia più grave – ribadisce Minelli – Il Pm2.5 è un miscuglio di sostanze solide e liquide, del diametro inferiore 30-40 volte rispetto ad un granello di sabbi, prodotte dalla combustione di motori a scoppio, dalla combustione di materiali legnosi o di altro materiale. Su questa ipotesi abbiamo prodotto già molti studi nel primo blocco di epidemia, ovvero che l’infezione da Sars-CoV-2 può causare gravi malattie polmonari indotte proprio dagli effetti del Pm2.5″.

“Quello che emerge dagli studi – conclude Giammanco – è che le condizioni ambientali e atmosferiche agirebbero su due livelli: cariche elevate nell’ambiente e nelle mucose del paziente che così verrebbe esposto con più facilità alle infezioni virali, permettendo al virus di esprimere al massimo il ruolo patogeno”. 

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