Di Alessandro Martelli (esperto di sistemi antisismici, già direttore ENEA) – Così come, fino a qualche giorno fa, accadeva a causa della pandemia da covid-19, ora anche la guerra in corso in Ucraina rischia di distogliere l’attenzione degli italiani da altri problemi anch’essi assai importanti, come la prevenzione dai rischi naturali, in particolare da quello sismico. Ho già scritto, su MeteoWeb, sull’importanza di garantire un adeguato livello di protezione, dagli effetti dei terremoti, agli edifici strategici, alle scuole ed anche agli edifici residenziali, sia di nuova costruzione che esistenti. Ho pure già scritto che, a tal fine, sono da tempo disponibili, anche in Italia, tecnologie molto efficaci, come quelle d’isolamento sismico, di dissipazione di energia o basate sull’utilizzazione di leghe a memoria di forma.
Però, occorre non dimenticare, fra gli edifici da proteggere dal terremoto, anche le chiese. Infatti, se, purtroppo, i terremoti violenti che hanno colpito l’Italia nei giorni feriali hanno causato molte vittime nelle scuole, soprattutto quelli che sono accaduti nei giorni festivi molte vittime, in Italia ed altrove, le hanno provocate nelle chiese, in occasione delle cerimonie religiose. Il problema della sicurezza sismica delle chiese è che, spesso, esse sono edifici antichi e che, anche se sono di costruzione recente, esse hanno sovente caratteristiche architettoniche che le rendono particolarmente vulnerabili al terremoto.
Il problema suddetto non è, certamente, solo italiano. Per quanto attiene ad altri Paesi, un esempio dell’elevata vulnerabilità sismica di molte chiese è quanto accadde in Perù il 15 agosto 2007 (poco prima delle 19:00 locali), durante un violento terremoto, di magnitudo momento MW = 8,0 (ed intensità I = IX grado della Scala Mercalli). Tale sisma ebbe epicentro nell’Oceano Pacifico a 150 km a sud-est di Lima (di fronte alla città di Pisco), con profondità ipocentrale di 39 km (quindi, fortunatamente, elevata), e colpì la costa occidentale del Paese. Esso causò più di 500 vittime ed oltre 2.000 feriti. Numerose, fra le vittime, furono quelle causate dal crollo o da gravi danneggiamenti di chiese, dove, all’ora citata, erano in corso funzioni liturgiche. Il crollo di una chiesa ad Ica, ad esempio, provocò decine di morti.
Venendo all’Italia, è anzitutto da ricordare il terremoto della Candelora del 2 febbraio 1703 (Mw stimata = 6,7, I = X), con epicentro a circa 20 km a nord-ovest de L’Aquila, che si verificò di mattina, alle 11:05. Tale terremoto, come da me ricordato l’anno scorso su MeteoWeb, fu cinque volte più violento di quello dell’Abruzzo del 2009 e fu quello conosciuto più devastante ad aver colpito l’Aquilano. Il Duomo non crollò totalmente solo grazie ad un muro su via Roio; delle chiese principali (Basilica di Santa Maria di Collemaggio e chiese di San Bernardino, San Silvestro, Santa Giusta, San Flaviano e San Quinziano) si salvò solo la facciata; gran parte degli interni di molte chiese dovettero essere ripristinati (a parte i casi della Basilica di Santa Maria di Collemaggio, di San Pietro a Coppito e di San Silvestro). Dato che il 2 febbraio è il giorno dedicato alla purificazione di Maria (rito della Candelora, da qui il nome del terremoto), quella mattina molti fedeli erano radunati nelle chiese. In particolare, secondo le fonti, 800 persone si trovavano nella Chiesa di San Domenico, per la comunione generale: il terremoto provocò il crollo delle capriate del tetto della chiesa, uccidendo, solo lì (si stima), 600 persone.
Per quanto attiene ai crolli ed ai forti danneggiamenti di chiese, ed alle relative vittime, in tempi più recenti, basti citare:
(1) il terremoto dell’Irpinia del 23 settembre 1980,
(2) il terremoto di Reggio Emilia del 15 ottobre 1996;
(3) il terremoto delle Marche e dell’Umbria del 1997-98,
(4) il terremoto dell’Abruzzo del 6 aprile 2009.
Il terremoto dell’Irpinia del 1980, verificatosi alle 19:34, fu l’ultimo evento di magnitudo M ≈ 7,0 a colpire l’Italia (MW = 6,9); fu, dunque, più violento del terremoto del Molise e della Puglia del 2002 e di quelli del Centro Italia del 2016. La sua violenza fu amplificata dalla sua superficialità (ipocentro ad una profondità di 10 km) e dalla sua notevole durata (90 s). Esso devastò un’area di 17.000 km2, soprattutto nelle provincie di Avellino, Salerno e Potenza, causando, oltre a migliaia di feriti e di sfollati, quasi 3.000 morti accertati (ma si stima che le vittime siano state molte di più, circa 10.000). L’entità della tragedia non fu subito compresa, come fu denunciato successivamente anche dall’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini: ciò causò gravi ritardi nei soccorsi, disorganizzazione degli interventi e scarsa preparazione di molte delle persone inviate nelle zone colpite (in particolare dei numerosi volontari). Numerose furono le vittime dovuti a crolli nelle chiese: esse, ad esempio, furono 270 a causa del crollo del Santuario di San Rocco a Lioni (Avellino), che è la chiesa del Santo Patrono della cittadina. Il suo crollo avvenne a poco più di 1 anno dal completamento dell’ultimo restauro (dopo il terremoto il Santuario fu ricostruito).
Il terremoto di Reggio Emilia del 1996, con epicentro a Novellara, in provincia di Reggio Emilia, si verificò alle 11.56. Esso fu assai meno violento di quello dell’Irpinia del 1980 (M = 4,8, I = VII), ma provocò la morte di 2 anziani (per infarto), più di 800 sfollati tra Bagnolo, Correggio e Novellara, nonché, soprattutto, molti danni alle chiese della zona: in particolare, crollarono o furono gravemente danneggiati alcuni antichi campanili, spezzati in due parti dal terremoto. Danni rilevanti, ad esempio, subì il campanile della Chiesa di San Giorgio in Trignano, a San Martino in Rio, in provincia di Reggio Emilia.
Il terremoto delle Marche e dell’Umbria del 1997-98 iniziò nella primavera del 1997. Il 26 settembre di tale anno, alle 2:33, si verificò una scossa di I = VIII-IX ed M = 5,7, con epicentro a Colfiorito, in provincia di Perugia, e Cesi. Imprudentemente, le autorità preposte, forse per tranquillizzare l’opinione pubblica, sostennero che non vi era alcun pericolo di scosse più violente (il Sottosegretario alla Protezione Civile Franco Barberi, intervistato da Unomattina, dichiarò: “Il peggio è passato” ed “Escludo scosse più forti”)”. Fu, penso, per questo motivo che alcuni tecnici si recarono a verificare, assieme ad alcuni frati, i danni che risultavano esser stati subìti dalla Basilica Superiore di San Francesco in Assisi. Invece, alle 11:40:26 dello stesso giorno, si verificò una nuova scossa, ben più violenta di quella precedente (M = 6,0, I = IX), con una profondità ipocentrale di 9,8 km ed epicentro ad Annifo (Comune di Foligno, in provincia di Perugia). A causa di tale seconda scossa, assieme ad altre strutture, subì danni ben più gravi dei precedenti la Basilica Superiore di San Francesco in Assisi, con il crollo della volta, oltre allo sfondamento di uno dei due timpani laterali del transetto: a causa del crollo della volta della Basilica morirono 4 persone (2 tecnici e 2 frati), che erano all’interno della Basilica stessa per verificare i danni causati dalla scossa precedente. Oltre alla Basilica Superiore di San Francesco in Assisi, subirono gravi danni anche altre chiese, ad esempio quella romanica di San Giovanni Battista ad Apagni, in Comune di Sellano, provincia di Perugia. In totale, alle 2 vittime della prima scossa, a causa della seconda si aggiunsero altre 8 vittime.
Il terremoto dell’Abruzzo del 2009 (MW = 6,3, I = IX-X), avvenuto alle 3:32 del mattino, causò, fra l’altro, il crollo di parte della facciata e del campanile della Chiesa di San Pietro di Coppito, ingenti danni alla Chiesa di Santa Maria a Paganica, alla cupola della Chiesa delle Anime Sante, all’abside ed al transetto del Duomo, nonché il crollo di parte del tetto della Basilica di Santa Maria di Collemaggio che era stato protetto con dissipatori di energia solo in vicinanza della facciata. I suddetti crolli e danni non causarono vittime nelle chiese solo perché il sisma avvenne di notte e, quindi, le chiese erano vuote.
È importante notare che i crolli ed i danneggiamenti suddetti presto indussero alcuni avveduti progettisti ed alcune avvedute sovrintendenze ad utilizzare i moderni sistemi antisismici nella riparazione dei danni subiti da alcune delle chiese suddette ed anche, a scopo preventivo, per adeguarne sismicamente altre, non ancora colpite da violenti terremoti. Alcuni primi esempi di tali interventi sono i seguenti:
- l’installazione (ultimata nel 1999) di 47 dispositivi in leghe a memoria di forma (Shape Memory Alloy Device, o SMAD, fra ciascuno dei due timpani laterali ed il transetto della Basilica Superiore di San Francesco in Assisi, per evitare che si ripetesse lo sfondamento di tali timpani che era avvenuto durante la seconda scossa del 26 settembre 1997;
- l’installazione (anch’essa terminata nel 1999) di 34 dispositivi oleodinamici di vincolo provvisorio (Shock Transmitter Unit, o STU) all’interno della Basilica Superiore di San Francesco in Assisi, in serie ad una travatura in acciaio posta sulla rastrematura inserita al di sotto delle grandi finestre laterali, per rinforzare il corpo dell’edificio durante il terremoto (lasciandolo, invece, libero di “respirare” in assenza di tale evento);
- l’installazione di SMAD, in serie a tiranti verticali, nel restauro del già citato campanile della Chiesa di San Giorgio in Trignano, spezzato in due dal terremoto di Reggio Emilia del 1996 (l’intervento iniziò già prima di quello riguardante la Basilica di San Francesco in Assisi e terminò poco dopo la messa in sicurezza di quest’ultima);
- il retrofit sismico, nel 2006, del campanile della Badia Fiorentina a Firenze con 18 SMAD (forza massima Fmax = 20 kN e spostamento massimo smax = 20 mm);
- il retrofit sismico del Duomo di Siena, con dissipatori viscosi (Viscous Damper, o VD) ricentranti), inseriti per evitare il ribaltamento della facciata (2007);
- il retrofit sismico del Santuario della Madonna delle Lacrime a Siracusa, pure effettuato nel 2007, inserendo dissipatori elastoplastici (Elastic-Plastic Device, o EPD) sotto la cupola, pesante ben 11.000 t.
Quanto all’utilizzazione dell’isolamento sismico per la protezione delle chiese, come già scrissi l’anno scorso su MeteoWeb, se si tratta di edifici di interesse storico-artistico, essa è giudicata ammissibile (almeno in Italia) solo se gli isolatori sono installati in sottofondazione. Ciò deriva dall’esigenza di minimizzare le modifiche delle caratteristiche architettoniche delle costruzioni suddette. Un retrofit di questo tipo, con l’utilizzazione di 8 isolatori elastomerici ad alto smorzamento (High Damping Rubber Bearing, o HDRB) e da tre coppie di dispositivi a scorrimento acciaio-teflon a superficie piana (Sliding Device, o SD) fu proposto dall’ENEA, in accordo con quanto avevo suggerito poco dopo il terremoto del 1997-98, per la Chiesa di San Giovanni Battista ad Apagni. Più recentemente (qualche anno dopo il terremoto dell’Abruzzo del 2009) fu sviluppata e brevettata (dal Dr. Paolo Clemente dell’ENEA e dal Prof. Alessandro De Stefano del Politecnico di Torino) la cosiddetta “Struttura di Isolamento Sismico per Edifici Esistenti”, che consiste nell’inserimento di tubi orizzontali, di notevole diametro, sotto la costruzione, con gli isolatori inseriti fra le due metà dei tubi stessi (si veda l’articolo succitato).
Concludo ricordando, ancora una volta, che le tecnologie più efficaci per rendere sicure tutte le nostre strutture, dunque chiese incluse (come le tecnologie di isolamento sismico, di dissipazione di energia o basate sull’uso di leghe a memoria di forma), le possediamo ed utilizziamo da tanti anni: pertanto, non mi stancherò mai di ripetere che non ci sono scuse per non applicarle ben più estesamente di quanto, sino ad ora, in Italia abbiamo fatto. Occorre non dimenticarsi, nonostante il covid-19 e la guerra in Crimea, l’urgenza di attivare corrette politiche di prevenzione dal rischio sismico e dagli altri rischi naturali (https://www.change.org/p/presidenza-del-consiglio-dei-ministri-governo-italiano-che-si-inizino-finalmente-ad-attuare-serie-politiche-di-prevenzione-dai-rischi-naturali).